Žižek, insieme a Lacan, ci butta in faccia una verità sul desiderio: non è mai una cosa semplice, non puntiamo dritti a quello che vogliamo davvero. No, desideriamo quello che il Grande Altro ci piazza davanti, come un burattinaio che muove i fili. È un paradosso che ti fa girare la testa: corriamo dietro a una macchina nuova, un amore da favola, un successo da copertina, ma quello che cerchiamo non sta mai davvero lì, tra le mani. Il Grande Altro ci tiene stretti, ci fa desiderare un buco, una mancanza che non si riempie mai. È come inseguire un’ombra nel deserto: più ti avvicini, più si allontana, lasciandoti con la lingua asciutta.
Basta aprire gli occhi sulla società di oggi per capirlo. Pensiamo ai social: quella smania di collezionare likes non è per i numeretti in sé, ma per cosa significano, per quell’approvazione che arriva da un Grande Altro fatto di follower, algoritmi, sguardi digitali. Žižek lo direbbe senza girarci attorno: il desiderio non è nostro, è un regalo avvelenato, una spinta che ci viene dall’Altro e ci incastra nella sua rete. Nella politica contemporanea, il nazionalismo suona la stessa musica: desideriamo un’identità forte, una nazione pura che ci faccia sentire grandi, ma è solo un’immagine, un sogno che il Grande Altro ci agita davanti per tenerci in riga.
Poi c’è la cultura di massa, dove il paradosso va in scena a tutto volume. I film romantici ci rifilano l’idea di un amore perfetto, quello che risolve tutto, ma quel perfetto non si fa mai vedere, perché il desiderio si nutre di quello che manca. Žižek lo mette giù chiaro: il Grande Altro ci dà un bersaglio, un obiettivo luccicante, ma fa in modo che resti sempre un passo oltre, fuori portata. Se lo afferrassimo, smetteremmo di desiderare, e il sistema – che sia il capitalismo o la società dello spettacolo – andrebbe a gambe all’aria. È una logica perversa: ci spinge a volere di più, a non fermarci mai, ma non ci lascia mai pieni, mai in pace.
Pensiamo al capitalismo, che è il maestro di questo gioco. Ogni pubblicità, ogni tendenza, ogni must-have della stagione è un amo che il Grande Altro ci lancia: desideri quel telefono, quella vacanza, quella vita da influencer, ma quando ce l’hai, il buco è ancora lì. Sui social, il meccanismo è ancora più sfacciato: postiamo, condividiamo, aspettiamo cuoricini, ma non è mai abbastanza, perché il Grande Altro sposta l’asticella ogni volta. Nel nazionalismo, invece, il desiderio si veste di bandiere e inni: vogliamo appartenere, difendere, essere parte di qualcosa, ma quella nazione è un miraggio che esiste solo finché il Grande Altro ce lo sventola sotto il naso.
Il dramma, come lo vede Žižek, è che siamo bloccati in questa corsa senza fine. Il Grande Altro ci guarda e se la ride, proiettando un’ombra che ci tiene agganciati: un amore che non arriva, un’identità che non si chiude, un successo che svanisce appena lo tocchi. Nella cultura pop, le serie TV e i blockbuster ci vendono finali felici, ma anche lì il desiderio resta aperto, un motore che non si spegne. È una trappola ben oliata: il Grande Altro ci dà la carota, ma tiene il bastone ben nascosto. Eppure, se è tutto un’illusione, un gioco di specchi, forse c’è una via d’uscita: smettere di correre, guardare il buco per quello che è, e magari decidere noi cosa desiderare, senza guinzagli.
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