Ma, qualunque fosse stato quel misterioso trauma – per quanto terrificante, orripilante, repellente –, io sapevo che la strada giusta per allontanarmene passava per la fantasia di trasformazione fisica che mi stava a portata di mano: le catastrofiche storie kafkiane e gogoliane che avevo illustrato alla mia classe la settimana precedente la catastrofe. Ora, con l’assistenza del dottor Klinger, cercavo di immaginare come mai avevo scelto di essere, tra tutte le cose possibili, un seno. Perché questo grosso sacco di tessuto senza cervello, desiderabile, muto, che è manipolato e non manipola, indifeso, immobile, pendulo, lì, come è lì e pende un seno? Perché questa identificazione primitiva con l’oggetto principe della venerazione infantile? Quali appetiti insoddisfatti e turbamenti in culla, quali frammenti del mio più lontano passato si erano scontrati per far scoccare una fissazione di tanto classica semplicità? Rifilai a mio padre tutta la tiritera e poi, di nuovo, per la gioia, piansi. Senza lacrime, ma piansi. Dov’erano le mie lacrime? Quando avrei sentito le lacrime? Quando avrei sentito i miei denti, la mia lingua, le dita dei piedi?
Grosso sacco di tessuto senza cervello
Crediti
Quotes per Philip Roth
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