In seguito alla scomunica emanata nei suoi confronti, nella seconda metà del 1589, a Helmstedt, dal sovrintendente e pastore della Chiesa luterana Gilbert Voët, [Giordano Bruno] si viene a trovare nella condizione di persona scomunicata da tutte le Chiese — da, quella romana, a quella calvinista, a quella appunto, luterana. È un elemento di novità che non va trascurato, anzitutto dal punto di vista delle conseguenze che poteva avere su una possibile «sistemazione» di Bruno in quella parte d’Europa. In questo senso la scomunica luterana appare tanto più grave se si considera che a Wittenberg Bruno era stato appoggiato proprio dalla fazione dei seguaci di Lutero in polemica con la fazione calvinista. Se poi si pensa alla rottura già maturata con gli ambienti puritani e al modo in cui era stato costretto a lasciare Parigi, abbandonato dal suo stesso partito, si ha il senso preciso della situazione di «solitudine» in cui Bruno era venuto progressivamente a trovarsi. In effetti, da un lato la scomunica di Voët, dall’altro l’espulsione decretata nei suoi confronti dal Senato di Francoforte avevano reso assai precaria, e fragile, la situazione del Nolano, restringendo in modo notevole i suoi spazi di movimento, a livello europeo.
È possibile che questa situazione di «isolamento» personale abbia inciso nella sua decisione di tornare in Italia. Ma dal punto di vista religioso c’è un ulteriore elemento di carattere «interno» da aggiungere alle considerazioni, sopra fatte, di carattere «esterno». A Parigi come a Venezia, Bruno ribadisce, costantemente, la sua preferenza per la Chiesa cattolica fra le varie Chiese cristiane. E non solo per motivi di carattere pratico, o di opportunità. Al contrario: il giudizio concerne, sul piano teologico, il punto delicatissimo del rapporto tra fede e opere. La «Catholica gli piacea più dell’altre», conferma di avergli sentito dire lo stesso Giovanni Mocenigo, anche se «havea bisogno di gran regole», perché «non stava bene così». Basta invece leggere lo Spaccio, o le conversazioni con Cotin, per vedere cosa Bruno pensasse della pedanteria e dell’asinità dei riformati. Qui stava, a suo giudizio, la radice della crisi dell’Europa. Ovviamente, questo motivo, a sé preso, non sarebbe stato sufficiente a indurlo a venire in Italia, lì dove c’era la sede del papato (e si è visto, nel De Immenso, in che modo Bruno si esprimesse sul pontefice romano). A spiegare il ritorno, oltre a quella specifica situazione di isolamento, di solitudine, occorre, anche, tener ben presenti due elementi di politica internazionale che possono avere agito da detonatori in una decisione difficile. Anzitutto la morte di Sisto V e l’elezione al pontificato di Gregorio XIV prima e di Clemente VIII poi, che, come è noto, consentirà alla chiamata di Francesco Patrizi alla Sapienza romana. Dal punto di vista dei progetti di Bruno, una volta tornato in Italia, questa decisione si configura come un avvenimento fondamentale. È preziosa, anche qui, la testimonianza di Mocenigo: «disse Giordano questo papa è un galant’huomo perché favorisce i filosofi e posso ancora io sperare d’essere favorito, e so che il Patritio è filosofo, e che non crede niente…».
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