Teoria femminista e rappresentanza politica
Buona parte della teoria femminista si è basata sul presupposto che esistesse un’identità, concepita attraverso la categoria delle donne, che non solo istituisce gli interessi e gli obiettivi femministi all’interno del discorso, ma anche costituisce il soggetto per il quale si cerca una rappresentanza e una rappresentazione politica. Ma politica e rappresentanza/rappresentazione sono termini controversi. Da una parte, rappresentanza funziona come termine operativo in un processo politico che cerca di allargare la visibilità e la legittimità delle donne come soggetti politici; dall’altra parte, rappresentazione è la funzione normativa di un linguaggio che si dice riveli o distorca ciò che si presuppone sia vero a proposito della categoria delle donne. Alla teoria femminista è sembrato necessario sviluppare un linguaggio che rappresentasse pienamente o adeguatamente le donne per favorire la loro visibilità politica. E questo era ovviamente importante se si pensa alla diffusa condizione culturale in cui le vite delle donne erano rappresentate in modo falsato o non erano rappresentate affatto. Di recente, questa modalità prevalente nel concepire la relazione tra la teoria femminista e la politica è stata messa in questione dall’interno dello stesso discorso femminista. Perfino il soggetto donne non è più inteso come qualcosa di stabile o costante. Non solo c’è una gran mole di materiali che mette in dubbio l’applicabilità del soggetto come candidato per eccellenza alla rappresentazione o, addirittura, alla liberazione, ma, tutto considerato, manca persino un pieno accordo su che cosa costituisca, o dovrebbe costituire, la categoria delle donne. Gli ambiti della rappresentanza/rappresentazione politica e linguistica stabiliscono in anticipo i criteri secondo cui i soggetti stessi sono formati, con il risultato che la rappresentanza e la rappresentazione si estendono solo a ciò che può essere riconosciuto come soggetto. In altre parole, bisogna qualificarsi come soggetto prima che la rappresentanza/rappresentazione possa essere estesa. Foucault ha mostrato come i sistemi giuridici di potere producono i soggetti che in seguito arrivano a rappresentare. Le nozioni giuridiche del potere sembrano regolare la vita politica in termini meramente negativi, vale a dire attraverso la limitazione, la regolamentazione, il divieto, il controllo e persino la protezione degli individui legati a quella struttura politica attraverso l’operazione contingente e revocabile della scelta. Ma i soggetti regolati da tali strutture, per il fatto di esserne soggiogati, vengono definiti e riprodotti in accordo con le esigenze di tali strutture. Se questa analisi è corretta, allora la formazione giuridica del linguaggio e della politica che rappresenta le donne come soggetto del femminismo è essa stessa una formazione discorsiva e dà origine a una determinata versione della politica rappresentativa. E il soggetto femminista si rivela essere costruito discorsivamente dallo stesso sistema politico che si suppone ne promuova l’emancipazione. Tutto ciò diventa politicamente problematico nel dimostrare se quel sistema produce soggetti connotati dal punto di vista del genere lungo un asse differenziale di dominio o soggetti che si presume siano al maschile. In tali casi appellarsi acriticamente a tale sistema per l’emancipazione delle donne non può avere altro esito che quello di autoinfliggersi una sconfitta.

Crediti
 Judith Butler
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