E l’essere? Pensiamo l’essere secondo il suo senso iniziale, come presenza. L’essere non si presenta né casualmente, né eccezionalmente all’uomo. L’essere è, e persiste in quanto si volge con il suo appello nella direzione dell’uomo. Soltanto l’uomo, infatti, aperto per l’essere, lascia che l’essere si avvicini come presenza. Tale presenza ha bisogno di una radura luminosa e così, con questo bisogno, la sua proprietà resta trasferita all’essenza dell’uomo. Questo non vuole affatto dire che l’essere sia primariamente posto dall’uomo e soltanto da lui. Al contrario, appare chiaro come uomo ed essere siano traspropriati l’uno all’altro, appartengano l’uno all’altro. Da questo appartenersi reciprocamente, che è rimasto indeterminato, uomo ed essere hanno ricevuto originariamente quelle determinazioni essenziali attraverso cui, grazie alla filosofia, sono intesi metafisicamente. Questo prevalente di uomo ed essere, noi lo disconosciamo con ostinazione finché ci rappresentiamo tutto soltanto per mezzo di ordini e mediazioni, con o senza dialettica. In questo modo troviamo sempre soltanto collegamenti che sono stabiliti o a partire dall’essere o a partire dall’uomo e che danno di uomo ed essere l’immagine di un annodamento. Ancora non riusciamo ad introdurci nell’appartenenza. Ma come avviene un tale ingresso? Abbandonando l’atteggiamento del pensiero rappresentativo. Questo abbandono è un salto, un salto che comporta un distacco dalla rappresentazione corrente dell’uomo come animal rationale, che nell’epoca moderna è divenuto il soggetto per i suoi oggetti. Il salto si distacca in pari tempo dall’essere, l’essere che pure, sin dai primordi del pensiero occidentale, è interpretato come fondamento su cui si fonda ogni essente in quanto essente.
Identità e Differenza
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