
Il potere è una facoltà, una capacità, che si ha o non si ha, ma con precisione mai si prende. Ciò che si può assaltare, prendere, dominare sono gli strumenti o le istituzioni che consistono nelle mediazioni del loro esercizio (come quando si dice nella Rivoluzione francese: La presa della Bastiglia, che era un carcere, edificio dell’istituzione giuridico-punitiva dello Stato monarchico, assolutista).
Al contrario, il soggetto collettivo primario e ultimo del potere, e per questo sovrano e con autorità propria o fondamentale, è sempre la comunità politica, il popolo. Non c’è nessun altro soggetto del potere che quello indicato. Nessun altro!
La potentia è, quindi, il punto di partenza. Ma il semplice potere della comunità, benché sia il fondamento ultimo, non ha ancora esistenza reale, oggettiva, empirica. La semplice volontà consensuale fattibile della comunità permane inizialmente indeterminata, in-sé, cioè è come il seme, che possedendo in potenzia l’albero futuro, ancora non è un albero, né ha radici, né tronco, né rami, né frutti. Potrebbe averli, ma ancora non li ha. Il seme è un albero in-sé, non essendo dispiegato, realizzato, cresciuto, apparso alla luce del mondo. Alla stessa maniera il potere come potentia (nel suo doppio significato di forza e di essere una possibilità futura), benché sia il fondamento di ogni potere politico, se non fosse attualizzato (per mezzo dell’azione politica con potere) o istituzionalizzato (per mezzo di tutte le mediazioni politiche per poter compiere le funzioni del politico), rimarrebbe in potenza, come una semplice possibilità inesistente.
Se la potentia è il potere in-sé, la potestas è il potere fuori di-sé (non necessariamente ancora per-sé, come ritorno). Il processo di passaggio da un momento fondamentale (potentia) alla sua costituzione come potere organizzato (potestas), comincia quando la comunità politica afferma se stessa come potere istituente (ancora non istituito, come suggerisce C. Castoriadis). Decide di darsi un’organizzazione eterogenea delle sue funzioni per raggiungere fini differenziati. Nel clan primitivo (e neanche qui) si poteva avere una certa indifferenziazione originaria: tutti potevano compiere tutte le funzioni (giacché non esigevano troppa esperienza tecnica, e c’era poco sviluppo). Davanti alla complessità politica del neolitico, con l’apparizione delle città che esigono un’immensa quantità di uffici, la politica crea molteplici istituzioni (appare il potere come potestas).
La necessaria istituzionalizzazione del potere della comunità, del popolo, costituisce ciò che denomineremo la potestas. La comunità istituzionalizzata, cioè avendo creato mediazioni per il suo possibile esercizio, si scinde dalla mera comunità indifferenziata. Questa scissione tra potentia e potestas (con B. Spinoza e A. Negri, ma allo stesso tempo oltre a loro), tra a] il potere della comunità politica come sede, origine e fondamento (il livello occulto ontologico) e b] la differenziazione eterogenea di funzioni per mezzo di istituzioni che permettano che il potere diventi reale, empirico, fattibile, che appaia nel campo politico (come fenomeno), è necessaria, e segna l’apparizione primigenia della politica, essendo allo stesso tempo il pericolo supremo come origine di tutte le ingiustizie e dominazioni. L’essere diviene l’ente, ed entra nella storia della giustizia e dei suoi opposti. L’anarchico sogna il paradiso perduto del potere indifferenziato in-sé della potentia (dove non c’è possibile ingiustizia); il conservatore adora il potere fissato e dominato come potestas (e intanto si esercita il potere istituzionalizzato come dominazione). La politica sarà la lunga avventura dell’uso debito (o corrotto) della potestas. La nobile funzione della politica è una possibilità che si apre a partire da questa scissione primaria; l’altra possibilità è la funzione corrotta idolatra del potere come potestas autoreferente, che termina sempre per impoverire il popolo.

La comunità politica, il popolo, ha sempre e soltanto il potere in potenza. Diviene reale grazie alla istituzionalizzazione (potestas), mediando l’azione strategica che come tale è il momento agente ma non il termine stabilizzatore storico; cioè, l’esercizio del potere è sempre un momento della potestas, o delle funzioni fissate dalle istituzioni, giacché quando si agisce, anche nel caso iniziale di un potere costituente (che è la potentia come potere istituente nell’atto di volere darsi una Costituzione giuridica), l’azione politica strategica (di tutto ciò che conduce a convocare i rappresentanti che si riuniranno nell’Assemblea costituente) rimane in qualche maniera demarcata dall’istituzione naturale democratica – così come la descriveva Francisco Suarez -, perché, in effetti, quando una comunità è concorde a darsi un governo deve deciderlo comunitariamente e questo è già un atto democratico (qualcosa come la discorsività simmetrica naturale della potentia in un atto primario istituzionale). Si potrà decidere poi se si istituzionalizza la potestas come sistema monarchico o repubblicano, come repubblica oligarchica o democratica, ecc. Una volta istituzionalizzata la potestas sufficientemente, comincia l’esercizio normale delegato del potere in mano dei rappresentanti.
Di fatto, ogni esercizio del potere è istituzionale, perché il potere della comunità come potentia in sé non è un momento empirico e d’inizio temporale, bensì un momento fondamentale che permane sempre in atto sotto le istituzioni e azioni (sotto la potestas ). Quando si parla di esercizio del potere significa che lo si attualizza in qualcuna delle possibilità istituzionali. Come ogni mediazione è determinato eterogeneamente. Non è lo stesso esercitare il potere elettorale come cittadino, che esercitare il potere presidenziale come capo del governo. Entrambi sono, tuttavia, esercizio, attualizzazione, apparizione fenomenica nel campo politico di un’azione, di una istituzione che compie una funzione per mezzo del suo operatore.
L’esercizio istituzionale, quindi, non è il potere come potentia. La comunità ha la facoltà del potere ontologico originario, ma qualsiasi attuazione è istituzionale e come tale delegata. La parola d’ordine, Tutto il potere ai soviet!, ci avvicina alla democrazia diretta e pienamente partecipativa della comunità che possiede la potentia. In tutti i modi era già una minima istituzionalizzazione. Tuttavia, mancandole livelli essenziali di istituzionalizzazione sufficiente (era una potentia che non voleva alienarsi come potestas) fallì completamente. Con la nascita del socialismo reale nel 1921 in Unione Sovietica (dei soviet rimase soltanto il nome) la potestas si consolidò in maniera eccessiva, passando da una posizione quasi-anarchica (che sempre idealizza la potentia ) a una organizzazione totalitaria della potestas. Ciò che è adeguato non è né una posizione (per difetto), né l’altra (per eccesso).
La comunità non può agire come se fosse un attore collettivo, sostanziale, unanime nella democrazia diretta e permanente. È il momento ideale come postulato, ma impossibile empiricamente. La comunità agisce per mezzo di ciascuno dei suoi membri in forma differenziata. Già nella caccia del paleolitico, uno dava il segnale di iniziare la caccia, altri spaventavano la preda, altri brandivano le armi nei posti predisposti, altri si specializzavano nell’uso delle trappole, altri distribuivano il bottino proporzionalmente tra i cacciatori. La differenziazione funzionale del tutto gli permetteva di raggiungere obiettivi complessi e superiori. Lo stesso nell’esercizio delegato del potere politico.
Il fatto di essere delegato indica che agisce in nome del tutto (universalità) in una funzione differenziata (particolarità), intrapresa con attenzione individuale (singolarità). L’esercizio singolare (privato) di una azione è ciò che si realizza in nome proprio. L’esercizio delegato (pubblico) è l’azione che si compie in funzione del tutto. Il fondamento di questo esercizio è il potere della comunità (come potentia). Colui che esercita il potere lo fa per l’altro (in quanto all’origine), come mediazione (in quanto al contenuto), per l’altro (come finalità).

Nel campo economico il lavoro vivo del lavoratore si oggettiva come valore nel prodotto. Questa oggettivazione (trasformandosi in altra cosa si aliena) è come un coagulo di sangue (se il sangue è il simbolo della vita nel pensiero semita). Analogicamente, nel campo politico il potere del popolo (potentia) si oggettiva o aliena nel sistema di istituzioni politiche prodotte, storicamente durante millenni, con l’esercizio di questo potere (potestas).
Parlare di oggettivazione di una soggettività collettiva, come quella della comunità politica, indica necessariamente un certo allontanamento, una perdita dell’identità immediata che passa a una differenziazione mediata. La mediazione è necessaria (senza istituzioni e sistemi, come l’agricoltura e la pastorizia, la riproduzione della vita è impossibile; senza accordi intersoggettivi nessuna legittimità può essere accettata; e senza questi requisiti non c’è potere politico possibile), ma allo stesso tempo è opaca, non è trasparente, come la rappresentazione (necessaria ma ambigua) o come ogni istituzione.
Come ogni mediazione la potestas (come somma istituzionale) è quindi ambigua. Il suo senso normativo di giustizia o uso cinico della forza come violenza, si trovano nello stadio originario, dove la disciplina richiesta è sempre una certa compulsione del piacere e pertanto può essere interpretata come repressione. Tuttavia, per la loro natura e nei momenti primari della loro creazione, le istituzioni in generale rispondono ad alcune rivendicazioni popolari. Ben presto, benché possano durare secoli, le istituzioni danno prova di stanchezza, di un processo antropico, di logorio e, d’altra parte, della feticizzazione inevitabile che la burocrazia produce sfruttando l’istituzione (la potestas) per la sopravvivenza della stessa burocrazia, ma come autoreferente. Quando ciò accade la mediazione inventata per la vita e per la democrazia, e a causa del loro miglioramento, comincia ad essere un cammino verso la morte, la repressione, la dominazione. Il politico critico o che ha un’attitudine di realismo critico dovrà intraprendere il cammino che pretende essere critico, o di sinistra – sinistra che oggi, oltre che ad essere di destra, ha smesso di indicare un contenuto politico concreto.
In questo caso, l’alienazione come semplice oggettivazione si converte in negazione dell’esercizio delegato del potere, cioè in esercizio feticizzato di questo potere.
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