Il club dei pensatori ribelli
Fuori continuano a sfilare, genitori e bambini. Ma perché diavolo B è venuto a trovarmi?
Perché non sfili anche tu? chiedo. È pure il tuo dovere.
Sogghigna. Mi sono dato ammalato.
I nostri sguardi s’incontrano. Ci capiamo, dunque? Non ti tradirò, dico.
Lo so.
Che cosa sai? penso.
Non mi piace più sfilare e neppure mi va questa storia del comando. Il primo venuto ti riempie la testa di urla semplicemente perché ha due anni più di te. E quei discorsi… sempre gli stessi, pure stupidaggini.
Non posso fare a meno di ridere.
Spero che sarai il solo, in classe, a pensare così.
Oh, no, siamo già quattro.
Quattro di già? Da quando?
Ricorda, professore, quando ha parlato dei negri, in primavera, prima di partire per il campo? Abbiamo tutti firmato che non la volevamo come professore, ma io l’ho fatto dietro comando. Perché lei aveva ragione, naturalmente, per i negri. E poi ce ne sono stati altri tre che si sono espressi nello stesso modo.
Chi?
Non lo posso dire, è proibito dal nostro codice.
Quale codice?
Abbiamo formato un club. Vi aderiscono altri due, ma non del liceo. Uno è apprendista fornaio, l’altro è un fantino.
Un club?
“Sì, ci riuniamo settimanalmente, e leggiamo tutto ciò che è proibito.
Ah, ah! Che cosa diceva Giulio Cesare? Di nascosto si legge, ma soltanto per riderne. Il loro ideale è il dileggio. Andiamo verso tempi freddi. Domando a B:
Allora vi riunite per ridere di tutto, eh?
No, l’ironia è severamente proibita dal paragrafo 3. Sì, ci sono dei ragazzi che ridono di tutto, per esempio T, ma noi non siamo di quelli, ci riuniamo per discutere su quello che abbiamo detto.
E poi?
E poi parliamo del mondo come dovrebbe essere.
Ascolto. Come dovrebbe essere? Guardo B e rivedo Z. Dice al presidente:
Il professore parla del mondo come dovrebbe essere, non come è.