Il buonsenso come senso unico
Il nome proprio o singolare è garantito dalla permanenza di un sapere; tale sapere è incarnato nei nomi generali che designano soste e stati di quiete, sostantivi e aggettivi con i quali il proprio mantiene un rapporto costante. Così l’Io personale ha bisogno del Dio e del mondo in generale. Ma quando i sostantivi e gli aggettivi cominciano a fondersi, quando i nomi che designano sosta e stato di quiete sono trascinati dai verbi di puro divenire e scivolano nel linguaggio degli eventi, si perde ogni identità per l’Io, il mondo e Dio. È la prova del sapere e della narrazione, in cui le parole giungono trasversalmente, trascinate di sbieco dai verbi, e che destituisce Alice dalla sua identità. Come se gli eventi godessero di una irrealtà che si comunica al sapere, e alle persone, attraverso il linguaggio. L’incertezza personale non è infatti un dubbio esterno a ciò che accade, bensì una struttura obiettiva dell’evento stesso, in quanto va sempre in due sensi contemporaneamente, e dilania il soggetto secondo questa duplice direzione. Il paradosso è innanzitutto ciò che distrugge il buonsenso come senso unico, ma, anche, ciò che distrugge il senso comune come assegnazione di identità fisse.

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