I protagonisti di Dostoevskij non entrano pacificamente nelle leggi del nostro mondo, ma arrivano sempre col loro sistema sensitivo fin giù ai profondi problemi primordiali. In loro l’uomo moderno di sensibilità nervosa si unisce all’uomo primitivo che non sa altro della vita che la propria passione e che, insieme con l’estrema comprensione, balbetta anche alle prime domande del mondo. Le loro forme non si sono ancora raffreddate, la loro pietra non s’è ancora stratificata, la loro fisionomia non s’è ancora regolata. Sono sempre incomplete e perciò risultano doppiamente vive. Infatti l’uomo perfetto è anche in sé finito, mentre in Dostoevskij tutto tende all’infinito. Per lui gli uomini sono eroi e hanno valore artistico solo fin quando sono in disaccordo con sé stessi, fin quando sono nature problematiche: quelli perfetti, quelli completi li scuote di dosso come l’albero il frutto maturo. Dostoevskij ama i suoi personaggi solo finché soffrono, finché hanno la forma della vita intensificata e discorse, finché sono il caos che vuole trasformarsi in destino.
Il caos che vuole trasformarsi in destino
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