Questo movimento in Italia, lo ricordiamo, è partito dalla ripresa filologica degli studi nietzschiani, ad opera di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, i quali, nei primi anni ’60, iniziarono la pubblicazione dell’edizione critica degli scritti editi e inediti di Nietzsche, nell’edizione della casa editrice Adelfi. indipendentemente dai lavori di Montinari e Colli, vi fu anche una rilettura italiana dei testi di Nietzsche, che ebbe il suo culmine, nella seconda metà degli anni ’70, periodo questo, in cui maturò quella crisi del marxismo che era già sboccata nella contestazione del ’68, e che poi si sviluppò ulteriormente negli anni ’70 fino al ’77, altra tappa della contestazione giovanile, cui purtroppo, fece seguito, a partire da quegli anni lì, il terrorismo, le Brigate Rosse, il rapimento di Moro. Fu così, che si ritrovarono a leggere e discutere Nietzsche, soprattutto autori, pensatori, scrittori, che si richiamavano all’esperienza della sinistra, spesso anche marxisti in crisi, ex-marxisiti, ecc.
Personalmente, ho dei ricordi di quest’epoca perché – mi dispiace ma devo parlare di me. Why not? Perché no? – nel 1974, pubblicai un libro intitolato Il soggetto e la maschera: Nietzsche e il problema della liberazione. Il sottotitolo, mostra che cosa volevo scandagliare, insieme ad altri autori italiani di quell’epoca, Massimo Cacciari prima di tutto, Remo Bodei, Pieraldo Rovatti, Franco Rella, con cui avevo costituito, quello che allora ironicamente chiamavamo, il circolo del nichilismo. Spesso ci si incontrava in varie università e città italiane, e discutevamo, di come il pensiero di Nietzsche potesse, non dico, sostituire quello di Marx, ma certo, darci altre indicazioni per riflettere sulla società e l’esistenza dell’epoca. Il circolo del nichilismo era poi favorito anche da altri eventi, fra cui, l’affermazione della sinistra a livello delle amministrazioni locali di molte città, grandi e piccole, e il suo intento di organizzare un’animazione culturale del territorio, che comprendeva anche una certa divulgazione filosofica. Ricordo delle riunioni, dei dibattiti a Bologna per esempio, su Nietzsche, dove la folla traboccava sulle scale; cose che adesso quando cerco di spiegarmi, capisco che possano sembrare stupefacenti. Può darsi che anche oggi i dibattiti filosofici, certamente più di quelli politici, attirino le persone, ma il fatto è che allora, c’era tutto questo clima impregnato della crisi del marxismo classico, una diffusa presa di posizione generalmente di sinistra, e lo sforzo di alcuni autori – di cui poi ho detto prima i nomi e vi includo il mio – di leggere Nietzsche… da sinistra.
Aveva senso questa posizione? Diciamo intanto, che questa lettura da sinistra aveva almeno due dimensioni abbastanza differenti tra loro: una è quella che ancora oggi si riassume soprattutto nelle opere di Massimo Cacciari; ricordiamo, Krisis, Saggio sulla crisi del pensiero negativo da Nietzsche a Wittgenstein, che fu uno scritto molto significativo, in cui si vedeva Nietzsche fondamentalmente in termini abbastanza heideggeriani, non come il pensatore dell’irrazionalismo – come era sempre stato detto, anche per mostrarne i collegamenti col nazismo – ma come il pensatore della tecnica, in quanto la volontà di potenza è ciò che regge la tecnologia, poiché il mondo, non si articola più nel rispetto di una natura che va avanti da sé, e che noi dovremmo assecondare, ma piuttosto come un’anti-natura, una costruzione totalmente, non dico arbitraria, ma certo totalmente volontaria, totalmente artificiale dell’universo, che è poi quello del mondo tecnico.
Nella lettura di Cacciari, Nietzsche era dunque l’autore, in qualche modo, anche del superuomo, dell’oltre-uomo, cioè quello che ci richiamava alla situazione in cui tutto è nelle nostre mani – nostre talvolta è fra virgolette, Cacciari era abbastanza realista da pensare che non tutti avessimo lo stesso potere al mondo – mettendoci di fronte, a quella condizione sempre più totale d’infondatezza, in cui la tecnica si accampa e siamo chiamati a rispondere. Una delle definizioni dell’oltre-uomo in Nietzsche, secondo Cacciari, era quella dell’uomo che finalmente è all’altezza delle proprie possibilità di azione, che è capace di sopportare, di dominare, di esercitare quella posizione di dominio nel mondo che la tecnica e la scienza hanno garantito. Cacciari non mi sembra sia andato oltre questa posizione, nel senso che anche nelle sue opere filosofiche successive ha mantenuto l’accento su questa sorta di tragicità dell’esistenza umana. La stessa tragicità, che aveva definito autori come Max Weber e cioè la scoperta e la messa in luce della totale responsabilità dell’uomo in un mondo dove – oggi si vede meglio – è persino possibile manipolare geneticamente gli organismi, costruire artificialmente la vita. L’idea, il tragicismo del Cacciari degli ultimi anni, che peraltro si accompagna a una vita politica, non tanto tragica ma seriamente riformistica – ma questo è un mistero della mentalità cacciariana – è molto legato a questa sua lettura di Nietzsche come il pensatore della tecnica, come colui che ci mette di fronte al fatto che la nostra esistenza nel mondo tardo-moderno è un’esistenza totalmente infondata e quindi, affidata alla nostra responsabilità. Del resto, la vita, come può non tornare ad essere nelle nostre mani, quando spariscono i fondamenti e con loro ogni certezza; quando Dio è morto come Nietzsche aveva annunciato e tutto è permesso, no, questo lo diceva Dostoevskij, però resta il fatto, che quando tutto è possibile, trovarsi di fronte a questa possibilità nel suo senso più generico e vasto, è – come lo è stato per un altro pensatore ottocentesco, Kierkegaard – la fonte, la ragione dell’angoscia esistenziale.
L’altra direzione che prese la lettura di Nietzsche in Italia, il Nietzsche italiano se vogliamo essere un po’ enfatici, è quella che si esprimeva in un libro, modestamente scritto da me, intitolato Il soggetto e la maschera, Nietzsche e il problema della liberazione. Un libro di spirito totalmente sessantottesco, dove cercavo di trovare un modo per coniugare Nietzsche con Marx, e una delle ipotesi, era che si poteva vedere nel superuomo il rivoluzionario. In quel periodo, però, ci fu un movimento di contestazione della società borghese da parte dei giovani o meno giovani, che si chiamavano marxisti, ma erano duramente anti-sovietici, e s’ispiravano a autori come Marcuse, il quale aveva appunto criticato il marxismo sovietico, perché i suoi fautori, dopo aver inneggiato alla rivoluzione, non avevano fatto altro che costruire un nuovo ordine, altrettanto totalitario, altrettanto insopportabile di quello tradizionale in Russia, di quello zarista, quello che noi potremmo dire, borghese capitalistico. Ecco che allora ritornai più volte su questa ipotesi, in quel mio libro pubblicato nel ’74 ma concepito tra il ’69 e il ’72, anche perché, conosciuto il clima italiano degli anni del terrorismo, della guerriglia, delle Brigate Rosse, ecc., mi resi conto, che l’uomo liberato di Nietzsche, se non poteva essere il rivoluzionario professionista di Lenin, perché se uno si metteva a fare il guerrigliero, fatalmente diventava poi Stalin, il rapporto dunque, andava ripensato. Ora, si trattava di far valere all’interno del pensiero rivoluzionario, non soltanto l’idea marxiana della trasformazione dei rapporti riguardo il potere sociale, ma l’idea nietzschiana della trasformazione dei rapporti gerarchici all’interno del soggetto stesso. Il superuomo di Nietzsche, era l’uomo rivoluzionato che semplicemente non dava più il potere allo Zar, al comitato centrale del partito, ma lo prendeva per sé. E questo era uno dei sensi fondamentali del pensiero del sessantotto, in qualche modo.
Che cosa ne è stato negli anni successivi di questa lettura italiana di Nietzsche? O quella cacciariana, che ha avuto anche altri esponenti? O quella mia che non so quanti altri esponenti abbia avuto ma che aveva la sua ragione di essere? Non saprei dire adesso. Per quanto riguarda Cacciari, credo che la traccia della lettura di Nietzsche sia rimasta, appunto, nel suo tragicismo; per quanto riguarda me, o diciamo, quelli che la pensano come me, mi è rimasta fondamentalmente l’idea che Nietzsche fosse sì il pensatore del superamento, della volontà di potenza, ecc., ma che in fondo come si può documentare con certi suoi frammenti, fosse anche un pensatore della moderazione – non della moderatezza o peggio ancora del moderatismo – come forma di vera vittoria. Quando lui, nel frammento intitolato Il nichilismo europeo, scrive che alla fine non vinceranno i più forti, i più feroci, i più crudeli, ma i più moderati, quelli che riescono a pensare anche con una certa ironia, forse ha detto una grande verità; se non altro, le cose che ha proferito, meritano ancora di essere lette, al di là di tutte le falsificazioni, i fraintendimenti e anche forse al di là di tutte le punte retoricamente reazionarie, conservatrice, antidemocratiche, che qualcuno può ritrovare nei suoi testi.
Ancora nessun commento