Il concetto di dittatura del proletariato e l'ambiguità dell'autorità del partito
La dittatura del proletariato racchiude in sé obbligatoriamente il concetto di violenza. Senza violenza non vi è dittatura, se la dittatura viene compresa nel senso esatto della parola. Lenin definisce la dittatura del proletariato come «un potere che poggia direttamente sulla violenza» («Sulla parola d’ordine del disarmo», vol. XIX, p. 315, ed. russa). Per conseguenza, parlare di dittatura del partito nei confronti della classe dei proletari e identificarla con la dittatura del proletariato, equivale a dire che il partito deve essere nei riguardi della sua classe non solamente un dirigente, non solamente un capo e un maestro, ma anche, in certo qual modo, un potere di Stato che impiega verso di essa la violenza […] L’autorità del partito poggia sulla fiducia della classe operaia, e la fiducia della classe operaia non si acquista con la violenza — la violenza la può soltanto distruggere — ma con una giusta teoria, con una giusta politica del partito, con la devozione del partito alla classe operaia, con i suoi legami con le masse operaie e con la sua capacità di convincere le masse della giustezza delle sue parole d’ordine.
Che cosa risulta da tutto questo?
Risulta che:

  1. Lenin non adopera la parola dittatura del partito nel senso letterale di questa parola (« potere che poggia sulla violenza »), ma in senso traslato, nel senso di direzione;
  2. chi identifica la direzione del partito con la dittatura del proletariato, snatura Lenin, attribuendo a torto al partito funzioni di violenza nei confronti della classe operaia nel suo assieme;
  3. chi attribuisce al partito funzioni di violenza, che gli sono estranee, nei confronti della classe operaia, viola le esigenze elementari che reggono i giusti rapporti reciproci tra l’avanguardia e la classe, tra il partito e il proletariato.