Il farsi come noi da parte di Dio (l’umanizzazione) per farci come lui (la divinizzazione) è il cuore concettuale del cristianesimo e costituisce la sua differenza specifica rispetto all’ebraismo, per il quale non è possibile né una umanizzazione di Dio né una divinizzazione dell’uomo, perché Dio è e rimarrà sempre totalmente altro. Per il cristianesimo, al contrario, tutto si gioca qui: che Dio si è fatto come noi per farci come lui.
I padri della Chiesa di lingua greca ne parlavano in termini di theosis, i padri della Chiesa di lingua latina in termini di deificatio e per molti secoli le mistiche e i mistici cristiani hanno testimoniato questo ideale facendone lo scopo della vita. L’umano è il valore assoluto? Sì, ma solo a patto di essere consapevoli che tale affermazione contiene anche un grande rischio: quello che Nietzsche denunciava dicendo umano, troppo umano.
Se l’umano non è attratto da una fede o idea o utopia più grande del proprio semplice interesse è solo vita biologica che cerca sé stessa, gene egoista, come la descrive lo scienziato ateo Richard Dawkins. Per questo motivo un cristianesimo che si riduce a essere solo umanità, cioè solo caritas, accoglienza, impegno per il prossimo e i migranti e i diversi, un cristianesimo solo orizzontale, è destinato a diventare come quel sale di cui parlava Gesù dicendo che perde il sapore e a null’altro serve che a essere gettato via e calpestato dalla gente.
È chiaro che il cristianesimo non potrà mai fare a meno di accogliere e di essere dalla parte degli ultimi, tra cui i più indifesi quali i bambini e ancor più i vecchi. Ma la fonte da cui scaturisce la sua energia non potrà essere unicamente l’umano, ma l’umano unito al divino e il divino unito all’umano.
Il cristianesimo e il cuore della divinizzazione
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