Augusto De LucaGli posi subito una seconda domanda. Visto che la volontà, secondo la sua dottrina, è intera e indivisa in ogni fenomeno, in ogni individuo, l’annullamento della stessa in un individuo, in un santo, non dovrebbe avere come conseguenza, dissi, l’annullamento della volontà nell’intero mondo? Un santo, dunque, non dovrebbe essere in grado di redimere l’intero mondo? – Lei non è il primo – replicò Schopenhauer – a farmi questa obiezione: mi fu fatta già nel 1819, subito dopo la pubblicazione del Mondo come volontà e rappresentazione. Ma a ciò si può soltanto rispondere: in un fenomeno la volontà rinnega sé stessa, in un altro no. Come ciò accada non so, poiché non mi sono assunto di sciogliere tutti gli enigmi del mondo. Ho già detto nella Epifilosofia (nel capitolo finale del secondo volume del Mondo come volontà e rappresentazione), che noi non possiamo sapere quanto si affondino, nell’essere in sé del mondo, le radici dell’individualità. Julius Frauenstädt, in Arthur Schopenhauer, Colloqui: «Tra le obiezioni che io feci a Schopenhauer contro la sua filosofia, una riguardava l’immutabilità, da lui sostenuta, della volontà. Tale immutabilità mi sembrava in contrasto con la negazione [della volontà]. Se, dissi, la volontà può rinnegare sé stessa». Allora non è immutabile; e se viceversa è immutabile, allora non può rinnegare sé stessa. / Schopenhauer rispose Non è detto che la volontà, come cosa in sé, sia immutabile, che debba dunque volere in eterno; l’immutabilità vale solo per il fenomeno della volontà, per il carattere empirico. Da tutto quello che Schopenhauer disse ancora su questo argomento, risultò che la sua opinione era questa: fintanto che la volontà si afferma, essa è immutabile; ma da questo non consegue che essa debba affermarsi in eterno. La negazione non sarebbe una modificazione, ma non un totale annullamento della volontà.


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