Il finito e l'infinito
Se l’intelletto fissa questi opposti, il finito e l’infinito, in modo che entrambi debbano sussistere nello stesso tempo come reciprocamente opposti, esso si distrugge; l’opposizione del finito e dell’infinito significa infatti che in quanto l’uno è posto, l’altro è tolto. Riconoscendo tale fatto, la ragione ha tolto l’intelletto stesso; il suo porre appare ad essa un non-porre, i suoi prodotti negazioni. La ragione, unificandoli entrambi, li annienta entrambi, dacché essi sono solo in quanto non sono unificati. In questa unificazione sussistono ad un tempo entrambi; l’opposto infatti, e dunque il limitato, è così riferito all’assoluto. In quanto la riflessione pone a proprio oggetto sé stessa, il proprio annientamento è la sua legge suprema, datale dalla ragione e mediante la quale diviene ragione. Come ogni cosa, la riflessione sussiste solo nell’assoluto, ma come riflessione è opposta ad esso; per sussistere dunque deve darsi la legge dell’autodistruzione. La legge immanente per cui si costituisce per forza propria come assoluta sarebbe la legge della contraddizione, ossia l’essere e il permanere del suo essere-posta. La riflessione fisserebbe così i suoi prodotti come assolutamente opposti all’assoluto, si proporrebbe come legge eterna di rimanere intelletto e di non divenire ragione, di persistere nella propria opera, che nulla è in opposizione all’assoluto — e all’assoluto opposta in quanto limitata.

Crediti
 Georg W. Friedrich Hegel
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