Federico non venne all’appuntamento. Camminava già verso la morte. Non lo vedemmo più. E in questo modo la guerra di Spagna, che cambiò la mia poesia, cominciò per me con la scomparsa di un poeta. Che poeta! Non ho mai visto riuniti come in lui la grazia e il genio, il cuore alato e la cascata cristallina. Federico García Lorca era il folletto dissipatore, l’allegria centrifuga che raccoglieva nel suo seno e irradiava come un pianeta la felicità di vivere. Ingenuo e commediante, cosmico e provinciale, musicista singolare, splendido mimo, pauroso e superstizioso, raggiante e gentile, era una specie di riassunto delle età della Spagna, della fioritura popolare (…) Mi seduceva il gran potere metaforico di García Lorca e mi interessava tutto quanto scriveva. Dal canto suo, mi chiedeva a volte di leggergli le mie ultime poesie e, a metà della lettura, mi interrompeva dicendo: Non andare avanti, non andare avanti, che mi influenzi. Nel teatro e nel silenzio, fra la folla e nell’intimità, era un moltiplicatore della bellezza. Non vidi mai un uomo che avesse tanta magia tra le mani, non vidi mai un fratello più allegro. Rideva, cantava, musicava, saltava, inventava, faceva scintille. Poveretto, aveva tutti i doni del mondo e come fu un lavoratore d’oro, un fuco d’alveare della grande poesia, era uno sperperatore del suo ingegno (…) Federico García Lorca non fu fucilato; fu assassinato. Naturalmente nessuno poteva pensare che un giorno l’avrebbero ammazzato. Fra tutti i poeti di Spagna era il più amato, il più caro, il più simile ad un bambino per la sua meravigliosa allegria. Chi avrebbe potuto credere che esistessero sulla terra, e sulla sua terra, mostri capaci di un delitto così inspiegabile?
Il gran potere metaforico
Crediti
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