Ciò che prima di tutto è, è l’essere. Il pensiero porta a compimento il riferimento dell’essere all’essenza dell’uomo. Non che esso produca o provochi questo riferimento. Il pensiero lo offre all’essere soltanto come ciò che gli è stato consegnato dall’essere. Questa offerta consiste nel fatto che nel pensiero l’essere viene al linguaggio.
Il linguaggio è la casa dell’essere. Nella sua dimora abita l’uomo. I pensatori e i poeti sono i custodi di questa dimora. Il loro vegliare è il portare a compimento la manifestatività dell’essere; essi, infatti, mediante il loro dire, la conducono al linguaggio e nel linguaggio la custodiscono. Il pensiero non si fa azione perché da esso scaturisca un effetto o una applicazione. Il pensiero agisce in quanto pensa. Questo agire è probabilmente il più semplice e nello stesso tempo il più alto, perché riguarda il riferimento dell’essere all’uomo. Ma ogni operare riposa nell’essere e mira all’ente. Il pensiero, invece, si lascia reclamare dall’essere per dire la verità dell’essere. Il pensiero porta a compimento questo lasciare. Se vogliamo imparare a esperire nella sua purezza, e cioè nello stesso tempo a portare a compimento, la suddetta essenza del pensiero, dobbiamo liberarci dall’interpretazione tecnica del pensiero i cui inizi risalgono fino a Platone e ad Aristotele. In tale interpretazione, infatti, il pensiero è inteso come una téchne, come il procedimento del riflettere al servizio del fare e del produrre. Ma già qui il riflettere è visto in riferimento alla práxis e alla poíesis. Per questo il pensiero, se lo si prende per se stesso, non è pratico. La caratterizzazione del pensiero come theoría e la determinazione del conoscere come atteggiamento teoretico avvengono già all’interno dell’interpretazione tecnica del pensiero. Essa è un tentativo di reazione per salvare ancora un’autonomia del pensiero nei confronti dell’agire e del fare. Da allora la filosofia si trova nella costante necessità di giustificare la propria esistenza di fronte alle scienze. Essa pensa che ciò possa avvenire nel modo più sicuro elevandosi a sua volta al rango di una scienza. Ma questo sforzo è l’abbandono dell’essenza del pensiero. La filosofia è perseguitata dal timore di perdere in considerazione e in valore se non è una scienza. Questo fatto è considerato una deficienza ed è assimilato alla non scientificità. Nell’interpretazione tecnica del pensiero, l’essere come elemento del pensiero, è abbandonato. La logica è la sanzione di questa interpretazione che prende l’avvio dalla sofistica e da Platone. Si giudica il pensiero con una misura a esso inadeguata. Questo modo di giudicare equivale al processo che tenta di valutare l’essenza e le facoltà del pesce in base alle sue capacità di vivere all’asciutto. Già da molto, anzi da troppo tempo, il pensiero si trova all’asciutto. Ora, si può chiamare irrazionalismo lo sforzo di portare di nuovo il pensiero nel suo elemento?
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