Si deve decostruire il linguaggio, spostando l’accento dai significati ai significanti che, come dice Lacan, sono stupidi, sono il sorriso dell’angelo. Io mi occupo (e – purtroppo o per fortuna – si occupano di me) solo dei significanti, i significati li lascio ai significati. Noi siamo nel linguaggio e il linguaggio crea dei guasti; anzi è fatto solo di buchi neri, di guasti. Codesto solo – dice l’Eusebio nazionale, cioè Eugenio Montale, però traducendo pari pari Nietzsche – oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. E questo si può dire. Chi dice d’esserci è coglione due volte: primo perché si ritiene Io, secondo perché è convinto di dire; è coglione una terza volta perché è convinto di dire quel che pensa, perché crede che quel che pensa non sian significanti, ma sian significati, e che dipendano da lui, ma Lacan ha insegnato: il significato è un sasso in bocca al significante. Qualcuno ha qualcosa da obiettare a questa definizione? La obietti con i lacaniani, la obietti con Lacan, la obietti con l’intelligenza, certamente! Ma per me l’intelligenza è miseria.
Il potere dei significanti nella comunicazione
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