Il significato dell'inconscio nella psicologia
L’ipotesi dell’inconscio pone in crisi l’idea della psiche. L’anima, fino a quel momento postulata dalla filosofia e dotata di tutte le facoltà necessarie, minacciò di emergere dalla sua crisalide con proprietà inaspettate e inesplorate. Non rappresentava più l’immediatamente noto di cui non rimanessero da scoprire che alcune ulteriori definizioni più o meno soddisfacenti. Piuttosto appariva ora in una forma stranamente duplice, come nota e come ignota. In conseguenza la vecchia psicologia fu completamente detronizzata e subì una rivoluzione pari a quella della fisica classica dopo la scoperta della radioattività. Questi primi psicologi sperimentali si trovarono nello stesso imbarazzo del mitico scopritore della sequenza numerica che appese delle pere in fila e continuò semplicemente ad aggiungere un’altra uniti a quelle già presenti. Quando contemplò il risultato, questo apparve solo come un centinaio di unità identiche, ma i numeri che aveva pensato come nomi, inaspettatamente si dimostrarono entità peculiari con proprietà irriducibili. Per esempio c’erano numeri pari, dispari e primi; numeri positivi, negativi, irrazionali e immaginari, ecc. Lo stesso accade per la psicologia: se l’anima è realmente soltanto un’idea, questa idea ha intorno a sé un’allarmante atmosfera di imprevedibilità – con qualità che nessuno avrebbe mai immaginato. Si può osare anche asserire che l’anima è la coscienza e il suo contenuto, ma ciò non impedisce, anzi affretta, la scoperta di uno sfondo prima insospettato, una vera matrice di tutti i fenomeni consci, una precoscienza e una post-coscienza, una supercoscienza e una subcoscienza. Come ci si forma un’idea di una cosa e si riesce ad afferrare uno dei suoi aspetti, invariabilmente si è vittima dell’illusione di aver afferrato il tutto. Non si considera mai che una appercezione totale è assolutamente fuori questione. Neppure una idea postulata come totale è totale, poiché essa è ancora un’entità. particolare con qualità imprevedibili. Questo auto-inganno incoraggia certamente la pace mentale; l’ignoto ha un nome, il remoto è stato portato vicino cosicché ognuno può toccarlo con un dito. Ne abbiamo preso possesso ed esso è divenuto una proprietà inalienabile, come un animale selvatico catturato che non può fuggire. È un procedimento magico come quello del primitivo enumeratore sugli oggetti e quello dello psicologo sull’anima. Questi, pur non essendo più alla sua mercé, non sospetta nemmeno che il fatto stesso di comprenderlo concettualmente conferisce all’oggetto una ottima opportunità di mettere in mostra tutte quelle qualità che non sarebbero mai apparse se non fossero state imprigionate in un concetto (ricordiamo i numeri!).
I tentativi che sono stati fatti negli ultimi trecento anni per impadronirsi dell’anima sono tutti manifestazioni essenziali di quella tremenda espansione del sapere che ha portato l’universo tanto vicino a noi da far vacillare l’immaginazione. Le migliaia di ingrandimenti resi possibili dal microscopio elettronico gareggiano con i 500 milioni di anni luce di distanza percorsi dai telescopi. La psicologia è ancora assai lontana da uno sviluppo simile a quello compiuto dalle altre scienze naturali; inoltre… è stata molto meno capace di sciogliersi dalle pastoie della filosofia. Ciononostante ogni scienza è in funzione dell’anima e ogni sapere ha in essa la radice. La psiche è la maggiore di tutte le meraviglie cosmiche e la condizione sine qua non del mondo in quanto oggetto. È estremamente strano che l’uomo occidentale, con pochissime – e sempre minori – eccezioni, presti apparentemente così poca attenzione a questo fatto. Sopraffatta dalla conoscenza degli oggetti esterni, il soggetto di ogni conoscenza è stato temporaneamente eclissato al punto di sembrare del tutto inesistente.
L’anima era un presupposto tacito che sembrava conoscere sé stesso in ogni particolare. Con la scoperta di un possibile regno psichico inconscio, l’uomo ebbe l’opportunità di imbarcarsi in una grande avventura dello spirito, e ci si sarebbe potuti aspettare che un appassionato interesse si volgesse in questa direzione. Non solo questo non accadde per nulla, ma perfino si sollevarono da ogni parte forti proteste contro questa ipotesi. Nessuno trasse la conclusione che se il soggetto della conoscenza, la psiche, è in realtà una velata forma di esistenza non accessibile immediatamente alla coscienza, allora tutto il nostro sapere deve essere incompleto e per di più ad un grado che non possiamo determinare. La validità della conoscenza consapevole fu discussa in maniera del tutto differente e più minacciosa di quanto mai lo fosse stata dai procedimenti dell’epistemologia. Questa impose certi limiti alla conoscenza umana in generale, dai quali l’idealismo tedesco postkantiano lottò per emanciparsi: ma la scienza naturale e il senso comune si adattarono ad essa senza grande difficoltà, se accondiscesero a riconoscerla in tutti i suoi aspetti. La filosofia la combatté nell’interesse di una antiquata pretesa della mente umana di essere capace di sostenersi da sé stessa per conoscere cose completamente al di fuori dei limiti della conoscenza umana. La vittoria di Hegel su Kant diede il colpo più grave alla ragione e allo ulteriore sviluppo spirituale del pensiero tedesco e poi di quello europeo, tanto più dannoso in quanto Hegel era uno psicologo camuffato che proiettò grandi verità dalla sfera del soggetto verso un cosmo che egli stesso aveva creato. Sappiamo quanto si estenda oggi l’influenza di Hegel. Le forze che compensarono questo calamitoso sviluppo, da un lato, si personificarono in parte nel tardo Schelling, in parte in Schopenhauer e in Carus, dall’altro, quello sfrenato Dio baccante, che Hegel aveva già subodorato nella natura, alla fine si rivelò a noi con la violenza di Nietzsche.
L’ipotesi dell’inconscio formulata da Carus era intesa a colpire con la maggior durezza possibile la tendenza allora prevalente della filosofia tedesca, in quanto quest’ultima aveva apparentemente appena avuto la meglio sul criticismo kantiano e aveva riaffermato, o meglio ristabilito la sovranità quasi divina dello spirito umano – dello Spirito con la esse maiuscola. Lo spirito dell’uomo medievale era sia nel bene che nel male ancora lo spirito del Dio che egli serviva. Il criticismo epistemologico fu da un lato un’espressione della modestia dell’uomo medievale, e dall’altro una rinuncia o un’abdicazione allo spirito di Dio e conseguentemente una estensione e un rafforzamento moderni della coscienza umana nei limiti della ragione. Dovunque lo spirito di Dio viene estromesso dai nostri calcoli umani, un inconscio prende il suo posto. In Schopenhauer troviamo la Volontà inconscia come nuova definizione di Dio, in Carus l’inconscio e in Hegel, identificazione e esaltazione, l’equazione pratica della ragione filosofica con lo Spirito, che rende così possibile quell’equivoco gioco intellettuale con l’oggetto, che raggiunge un tale orribile splendore nella sua filosofia dello Stato. Hegel offri una soluzione al problema sollevato dal criticismo epistemologico col dare alle idee una possibilità di dimostrare la loro sconosciuta forza di autonomia. Essi provocarono quella hybris della ragione che portò al superuomo di Nietzsche e di lì alla catastrofe che porta il nome di Germania. Non solo gli artisti, ma talvolta anche i filosofi possono essere profeti.
Penso che sia ovvio che tutte le affermazioni filosofiche che superino i limiti della ragione sono antropomorfiche e non hanno alcuna validità oltre quella che compete alle affermazioni psichicamente condizionate. Una filosofia come quella di Hegel è un’autorivelazjone del retroscena psichico, e, filosoficamente parlando, è una presunzione. Dal punto di vista psicologico equivale a un’invasione dell’inconscio. Il particolare linguaggio alato di Hegel conferma questa opinione: ricorda il linguaggio megalomaniaco degli schizofrenici che sano parole terribili e affascinanti per ridurre il trascendente in forma soggettiva, per dare a banalità il fascino della novità, o spacciare luoghi comuni per illuminante saggezza. Una terminologia così ampollosa è un sintomo di debolezza, di inettitudine e di mancanza di sostanza. Ma ciò non impedisce ai più recenti filosofi tedeschi di usare lo stesso linguaggio roboante e di pretendere che non sia psicologia inintenzionale.
Di fronte a questa primordiale irruzione dell’inconscio nella sfera occidentale della ragione umana, Schopenhauer e Carus non ebbero una base solida sulla quale sviluppare e applicare la loro influenza compensatrice. La salutare sottomissione dell’uomo a una Deità benevola, e il cordon sanitaire tra lui e il demone delle tenebre, il pesante lascito del passato, rimasero inalterate con Schopenhauer, perlomeno in linea di massima, mentre con Carus non furono neanche sfiorate poiché egli cercava di attaccare il problema alle radici, trasferendolo dal punto di vista estremamente presuntuoso della filosofia verso quello della psicologia. Dobbiamo chiudere gli occhi al fascino della sua filosofia se desideriamo dare il massimo peso alla sua ipotesi essenzialmente psicologica. Egli era giunto per lo meno un passo più vicino alla conclusione che menzionammo prima, quando tentò di costruire un quadro del mondo che includeva la parte oscura dell’anima. Questa struttura mancava ancora di qualcosa della cui importanza senza precedenti vorrei convincere il lettore.
A questo scopo dobbiamo anzitutto rendere ben chiaro a noi stessi che ogni sapere è il risultato della imposizione di una certa forma di ordine sulle reazioni del sistema psichico che scorrono nella nostra coscienza – un ordine che riflette il comportamento di una realtà meta psichica, di ciò che è di per sé reale. Se, come anche certe correnti moderne vorrebbero, il sistema psichico coincide con la nostra mente conscia, ed è identico ad essa, allora ne consegue per noi la possibilità di conoscere ogni cosa che sia conoscibile, che si trovi cioè entro i limiti della teoria della conoscenza. In questo caso non c’è nessun motivo di inquietudine diverso da quello degli anatomisti o dei fisiologi che contemplano la funzione dell’occhio o l’organo dell’udito. Ma se dovesse risultare che la psiche non coincide con la coscienza, e, ciò che è più grave, che essa funziona inconsciamente in un modo simile, o differente rispetto alla parte conscia di essa, allora la nostra inquietudine dovrebbe trasformarsi in agitazione, poiché non si tratterebbe più di una questione di limiti generali epistemologici, ma di una fragile soglia che ci separa dal contenuto inconscio della psiche. L’ipotesi della soglia e dell’inconscio, significa che l’indispensabile materiale grezzo di ogni conoscenza – cioè le reazioni psichiche – e forse anche i pensieri è le intuizioni inconsce, si trovano assai vicino, al di sopra o al di sotto della coscienza, separati da noi dalla semplice soglia, e tuttavia apparentemente irraggiungibili. Noi non abbiamo alcuna nozione di come funzioni questo inconscio, ma siccome si suppone che sia un sistema psichico, esso può forse comprendere tutti gli aspetti della coscienza, inclusa la percezione, l’appercezione, la memoria, l’immaginazione, la volontà, l’affettività, la sensibilità, la riflessione, il giudizio ecc., tutto in forma subliminale.
Qui ci troviamo di fronte alla obiezione di Wundt che non si potrebbe parlare di percezioni, rappresentazioni, sentimenti inconsci, e tanto meno di azioni volitive inconsce, visto che nessuno di questi fenomeni può essere rappresentato senza un soggetto che li esperimenti. L’idea di soglia presuppone una forma di osservazione in termini di energia, secondo la quale la coscienza di contenuti psichici dipende essenzialmente dalla loro intensità, cioè dalla loro energia. Esattamente come solo uno stimolo di una certa intensità può superare la soglia, così si può a ragione ritenere che anche altri contenuti psichici debbano possedere un potenziale di energie molto elevato, se riescono a passare. Se possiedono soltanto una piccola quantità di energia essi rimangono subliminali come le corrispondenti percezioni sensoriali. Come Lipps ha già rilevato, la prima obiezione è annullata dal fatto che il processo psichico resta essenzialmente lo stesso che sia rappresentato o no. Chiunque accetti l’opinione che i fenomeni della coscienza comprendono l’intera psiche deve fare un altro passo avanti e dire che le rappresentazioni che non abbiamo non possono essere descritte come rappresentazioni. Deve anche negare ogni qualità psichica a quanto viene trascurato. Per questo rigoroso punto di vista la psiche può avere soltanto la fantasmagorica esistenza che appartiene ai fenomeni effimeri della coscienza. Questo modo di vedere non quadra affatto con l’esperienza comune, che parla in favore di una possibile attività psichica senza coscienza. L’idea di Lipps dell’esistenza di processi psichici an sich fa maggiore giustizia ai fatti. Non desidero sprecare tempo per dimostrare questo punto, ma mi limiterò ad affermare che mai finora una qualunque persona ragionevole ha dubitato dell’esistenza di processi psichici in un cane, sebbene nessun cane – a quanto sappiamo abbia mai espresso la consapevolezza dei suoi contenuti psichici.

Crediti
 Whit Burnett
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