Era la prima volta che ricevevo un regalo, un vero regalo. Provai a pensare ancora ma non mi riuscì di afferrare le immagini che mi si accavallavano nella mente, nel vasto reparto dei desideri. Un regalo! ma che cos’era un regalo? Forse una cosa non necessaria, anzi certamente una cosa non necessaria come scarpe, vestiti, roba da mangiare o soldi. Un regalo era qualche cosa di più; era roba da signori! Non avevo immaginato niente di preciso ma doveva essere certo qualcosa fuori dell’ordinario da come ne aveva parlato la signorina Immacolata.
«Un regalo, un bellissimo regalo!» disse ancora. «Sai cosa?»
Ci fu un momento di silenzio durante il quale mi fissò con l’occhialino, sorridente:
«Una bicicletta!».
Sentii il labbro inferiore che tremava, poi lo sentii sporgersi e alla fine un gran bruciore agli occhi. Mandai giù la saliva, non so quante considerazioni feci su Cena, sul nonno, sulla naia, sulla città e su don Gastone, in pochi istanti. Non credevo alle mie orecchie. Già sentivo una punta di delusione che saliva da non so dove, tutto era una storia inventata e quella tirchia donna mi prendeva in giro. Anche il nonno mi aveva promesso tante cose e non aveva mai mantenuto le promesse. Anche la mamma. No, io non avevo mai avuto regali e mai ne avrei avuti. Ero figlio di N.N., niente da fare. Ero senza papà e per avere regali bisogna avere anche un papà. E se non c’è il papà e la mamma fa i regali, vuol dire che la mamma è poco seria perché il nonno soldi da darne non ne aveva oltre a quelli per il latte alla sera. Mentre mi passavano per la testa, rapide come guizzi, le considerazioni che avevamo fatto tante volte io e Cena sui regali, ugualmente pervaso da una sua propria emozione il labbro seguitava a tremare.
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