Il tempo della società galleggiante
Quanto dura un giorno, quanto una settimana? Che domande, durano un giorno e una settimana si direbbe, eppure non è così.
Quanto dura una giornata come tante altre, una col mal di denti, una in un carcere dove si tortura, una di grandissima gioia?
In Italia da quanto tempo siamo bloccati, isolati, distanziati e internati? Da … da oramai tanto tempo, troppo; da una vita. Ovvero da una settimana! Una settimana, è solo da una settimana, sembra impossibile: allora è una settimana eterna.
Riassumiamo sommariamente. 21 Febbraio prima persona, poi focolaio, con Covid19 in Italia (eccetto una coppia giunta dalla Cina a Roma e subito ricoverata allo Spallanzani).
25 Febbraio, primi Decreti seri di isolamento dei comuni colpiti e di limitazioni in alcune Regioni. 4 Marzo chiusura di tutte le scuole nell’intera Italia. Annunciato l’8 Marzo e pubblicato il 9, divieto di assembramento e di uscita salvo necessità comprovate; lavoro solo se necessario e con protocolli di sicurezza; uffici lezioni cultura e spettacoli online a distanza e tutto quanto sappiamo, eppure ci è sembrato impossibile accadesse, come lo stop del Calcio e delle Messe nelle chiese.

Un tempo sospeso, incompreso, dentro una società che proprio per questo non è più quella diventata liquida per dirla alla Bauman ma è in uno stato nuovo, adesso galleggia. Nello scorrere in questo imprevisto sistema di riferimento le, percepite, coordinate spazio-tempo sono cambiate: pochi giorni pesano come fosse un anno. Probabilmente la metafora di società liquida è ancora praticabile però ora siamo raggrumati perché il tempo è precipitato (nel senso chimico del termine), o al contrario ma vale lo tesso, ci siamo raggrumati per motivi d’emergenza e il tempo quindi è precipitato, e ora perciò non siamo più immersi nella società che sia liquida o di qualunque altro tipo, ma galleggiamo.

Tempo e spazio come sappiamo sono legati, se il tempo dei giorni in rapporto a quello dello spazio esterno si è dilatato, intorpidito e sfocato, significa che intorno e anche dentro di noi tutto fluttua pesante come una ciclopica nave post-apocalittica, intrisa di miasmi alla deriva in bonaccia. Galleggiare dentro un’Arca atemporale lentamente e su qualcosa d’indefinito aspettando che dopo le nebbie si arrivi a un approdo in qualche riva, è quanto accade. Interdetti gli spazi, limitati i movimenti, la faccenda si ripercuote sui tempi, quelli biologici circadiani ed emotivi. I veri tempi dell’essere umano sono quelli interiori e lo stiamo sperimentando in massa proprio adesso, così come stiamo intuendo che la mancanza di libertà non ingabbia spazio o parola (o non solo) ma intrappola il tempo, quel sovrano assoluto che l’umanità ha imparato a riconoscere eppure poco rispetta.

In Italia siamo a poco più di una ventina di giorni dall’inizio formalizzato del problema Covid19 e – si stenta a crederlo – a una settimana dalle rigide misure di blocco nazionale.
Una settimana appunto. No, non è una vera settimana se ci sembra da una vita che usciamo solo con auto-certificato in tasca mascherina in faccia e disinfettante in mano. Relegati In casa da quelli che ci appaiono un’infinità di giorni, facciamo e vediamo battutine apposite sui social o approfondimenti nei media; sequestrati dentro le mura sia se siamo single o comunità, famiglie mononucleari o famiglie estese, con o senza e gatti, da tanto di quel tempo (indefinito) che perfino urliamo canzoni e frasi d’incitamento alle finestre.

Questi sono tempi individuali e soggettivi ma quanto dura effettivamente una settimana di sospensione della vita collettiva e cosa comporta, specie se si prolunga, agli orologi interiori di noi tutti non è semplice da capire e sicuramente prematuro.

Ci sono stati nella storia numerosi periodi alterati, non a caso ad esempio si dice “tempo di guerra, ciononostante nelle guerre e pure nelle epidemie mai è stato così.
Nel passato, anche recente, le tecnologie di comunicazione non erano tanto invasive diffuse e simultanee che in pochi minuti si generalizzano e attuano provvedimenti i quali rimbalzano gli stati d’animo in una nazione intera. Inoltre anche nelle guerre il tempo è pesante e grave ma nonostante i pericoli si può uscire e girare e quando c’è coprifuoco è periodico. Pure nei famosi cordoni sanitari del passato, durante le buie pestilenze, si isolavano comunità stati paesi castelli o navi dai contatti esterni ma al loro interno si circolava anche se la paura dei malati e l’idea degli untori limitava tutto e creava condotte assurde. In guerra e nelle pandemie tutto è rischioso e incerto, però, volendo si può almeno andare da un parente o amico, cercare una svolta economica, un nuovo alloggio o un rifugio oppure emigrare e soprattutto almeno in teoria si può fare un incontro, sedurre o trovare un amore; cose che già soltanto in fantasia sono enormi elisir vitali. In questo nostro tempo da decreto multimediale invece ci appare tutto congelato come nei film apocalittici quando un meteorite ghiaccia tutti all’istante.

Si resti a pensare a una cosa, non la più importante in tempi di contagi paure e terapie intensive ma che spiega molto. Come fanno adesso i fidanzati che vivono in città diverse, gli amanti clandestini o non dichiarati, quelli che cercano l’anima gemella in discoteche o nelle agenzie matrimoniali, i ragazzi e le ragazze invaghiti di compagni di scuola o … i corteggiatori in fase avanzata? Sono pure queste faccende talmente serie che se in breve non cambiano le cose diverranno materia da psicologi post-trauma. In guerra e nei periodi di bombardamenti ci si sposa e si fanno figli e durante la manzoniana peste si ama, ora almeno nell’immaginario no, sono sospesi matrimoni e finanche funerali.

Intanto oggi è 15 marzo 2020, domenica. Domenica? Siamo sicuri, chi lo dice; dov’è il giorno festivo, la messa, il campionato? Già, anche della domenica che è un tempo artificiale inserito del calendario, ci si chiede cos’è o addirittura cos’era, quand’era. E il weekend cos’era? Picnic familiari, gite fuori porta, seconde case, viaggi. Andare al mare o a ballare tutti stretti ai concerti o al pranzo con i suoceri, davvero si faceva? Forse.

Tempo: misura del trascorrere, distinzione di passato presente e futuro. Esempio classico: ogni giorno della nostra vita è di 24 ore 1440 minuti 86400 secondi.
Si pensa il tempo da sempre (parola temporale) da Zenone Parmenide e Agostino (so cos’è ma non so descriverlo) fino a Kant (tempo e spazio, modi con i quali organizziamo percezione conoscenza e sensazioni che proviamo nell’interiorità). Pure filosoficamente si afferma che il tempo è soggettivo, dipende da sensazioni o percezioni di ciascuno, e lo si dice scientificamente almeno da Einstein che non è assoluto ma relativo al suo osservatore. Sul tempo insomma ci sono dibattiti e riflessioni enormi e articolate, per non parlare del futuro (altra locuzione temporale) che, anche restando nella nostra stessa unità di misura, non sappiamo contare perché è ignoto.

Ma se il tempo è soggettivo come può essere misurato collettivamente? Con i sistemi adottati appunto dalla comunità internazionale, il minuto secondo, il calendario, l’orologio generico e quello nucleare tutti derivati da tanti calcoli su fenomeni quali il moto terrestre e i fusi orari. Può essere realmente considerato infinito, ha un inizio, una fine?
Il tempo comunemente più riferito è il tempo che passa, ma c’è il tempo d’attesa (quello che non passa) il tempo del lavoro, il tempo della preghiera (tempo liturgico), il tempo di lavoro e preghiera (tempo del monachesimo) il tempo festivo. Almeno tre parole greche lo descrivono: Chronos il tempo cronologico e sequenziale, Kairos il momento nel quale accade qualcosa di speciale o supremo, Aion il tempo eterno.
È dunque un soggetto multiforme, tanto eterogeneo che conviene smettere di divagare accontentandoci di costatare che dovremmo essere, in questo palindromico 2020 del calendario gregoriano, proprio in quel Kairos che per gli antichi greci esprimeva un tempo particolare per qualcosa di speciale che accade. Sebbene ogni periodo della storia definisca se stesso come speciale e particolare, stavolta i presupposti per esserlo sono tangibili eppure in fondo neanche sappiamo se augurarci o no che lo sia davvero un tempo nuovo. Qualora sia così, di sicuro cambia anche il paradigma nel quale rappresentare il nuovo modello ed è senz’altro un diffuso e fluttuante galleggiamento.

Staremo a vedere, intanto la cosa più beffarda nella presente e incongrua sospensione temporale è una: le … previsioni del tempo! Una gratuita crudeltà poiché non solo non usciamo da casa ne viaggiamo ma, mentre addirittura qualcuno ancora parla delle sue previsioni, neanche lo afferriamo più il tempo.

Crediti
 Uldio Calatonaca
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