Agli inizi degli anni Settanta John Lennon cantava Imagine, e quanto invitava a immaginare con la sua splendida canzone era che non vi fossero più paesi (Imagine there’s no countries) e che tutti gli esseri umani condividessero l’intero mondo (Imagine all the people sharing all the world). L’abbattimento di ogni confine, quindi. Oggi le cose vanno decisamente nella direzione opposta, e c’è un confine che in questi giorni è più di ogni altro il simbolo della maledizione e della benedizione rappresentata dalle frontiere, per il destino di vita e morte di chissà quante persone che esso rappresenta: il valico di Rafah. Da un lato la morte, dall’altro la vita; oggi chiuso, domani aperto, dopodomani chissà; chi con un passaporto lo valica, chi con un altro no; chi da un lato si salva, chi dall’altro si arrangia, perfetta applicazione di quella logica spietata denominata da Primo Levi i sommersi e i salvati e crudelmente imperante su molte altre vicende umane.
Il valico di Rafah: simbolo di vita e morte legate alle frontiere
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