E infine c’era il me stesso anomalo, contorto, malato; il degenerato disgustoso e isolato che si defilava di soppiatto per non dare nell’occhio. Qual era la tara segreta che mi escludeva dal gregge umano? Una malattia fisica? Ma, a parte qualche febbricola di origine polmonare del tutto innocua e peraltro abbastanza frequente tra i ragazzi della mia età (e che mi costringeva a soggiornare in montagna per un mese o due all’anno), godevo di una discreta salute… E allora, quale poteva essere la causa di quell’indeterminatezza interiore che faceva di me, ragazzo piuttosto allegro, una specie di mostro attratto da tutte le deformità e patologie dell’esistenza? Ero, e ne prendevo atto senza ombra di stupore o di protesta, un essere anormale, incapace di aprirsi con nessuno, eternamente condannato a nascondersi e a vivere in clandestinità. Le mie pulsioni erotiche mi trascinavano in basso, nella strada, in segrete e solitarie avventure nelle più remote periferie varsaviane con donne della peggiore specie. No, non si trattava di prostitute: in quelle goffe avventure cercavo proprio la salute, qualcosa che fosse il più possibile infimo ed elementare, e quindi anche più autentico… Ma che fare se al contatto delle mie mani avvelenate tutto diventava grottesco? Al rientro da quelle spedizioni selvagge tornavo alla mia vita di bravo figlio di papà e alle mie ingenuità da ragazzo di buona famiglia. Come facevo a coltivare due realtà tanto diverse? A quel tempo io e alcuni dei miei compagni “bene” avevamo fondato un club escursionistico con il quale organizzavamo gite fuori città, che erano quanto di più decente e corretto si potesse immaginare. Come potevo dedicarmi contemporaneamente a quei due generi di escursioni?
Indeterminatezza interiore
Crediti
Quotes per Witold Gombrowicz
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