
Lo scrittore non appartiene più al dominio magistrale dove esprimersi significa esprimere la certezza e l’esattezza delle cose e dei valori secondo il senso dei loro limiti. Ciò che scrive rimanda colui che deve scrivere a un’affermazione sulla quale non ha più autorità. […] Scrivere, vuol dire rompere il legame che unisce la parola a me stesso, rompere il rapporto che mi fa parlare a «te». […] Vuol dire, inoltre, sottrarre il linguaggio al corso del mondo, destituirlo di ciò che fa di lui un potere attraverso il quale, se io parlo, è il mondo che si parla, è il giorno che si edifica nel lavoro, nell’azione e nel tempo. Scrivere è l’interminabile, l’incessante. Lo scrittore, si dice, rinuncia a dire «Io». Kafka osserva con sorpresa, con un piacere ammirato, di essere entrato nella letteratura dal momento in cui ha potuto sostituire «Io» con «Egli». È vero, ma la trasformazione è ben più profonda. Lo scrittore appartiene ad un linguaggio che nessuno parla, che non si rivolge a nessuno, che non ha centro, che non rivela niente. […] Quando scrivere è consegnarsi all’interminabile, lo scrittore che accetta di sostenerne l’essenza perde il potere di dire «Io». […] Scrivere, vuol dire farsi l’eco di ciò che non può cessare di parlare, – e, proprio per questo, per divenirne l’eco, devo in un certo modo imporgli silenzio. Porto a questa parola incessante la decisione, l’autorità del mio silenzio. Rendo sensibile, con la mia silenziosa mediazione, l’affermazione ininterrotta, il mormorio gigantesco, sul quale il linguaggio aprendosi si fa immagine, immaginario, profondità parlante, indistinta pienezza che è vuoto. Questo silenzio ha la sua origine nella sparizione alla quale è invitato colui che scrive.
Quotes per Maurice BlanchotCon il suicidio, io voglio uccidermi in un momento determinato, lego la morte a ora: sì, adesso, ora. Ma nulla fa trasparire meglio la follia di questo io voglio, la morte infatti non è mai presente… Perciò il suicidio non è ciò che accoglie la morte, è piuttosto ciò che vorrebbe sopprimerla come futura, toglierle quella parte di futuro che si presenta come la sua essenza… Non si può progettare di uccidersi; ci si prepara, si agisce in funzione del gesto ultimo che appartiene alla categoria normale delle cose da fare; ma esso non è in funzione della morte, non la riguarda, non la pone presente…
Voleva parlarmi ma non trovava nulla da dire. Alluse alla propria stanchezza e mi pregò di fargli delle domande. Ma con mio grande stupore dovetti constatare che avevo dimenticato come si domanda. Per non allarmarlo osservai che eravamo troppo vicini l'uno all'altro per interrogarci con qualche utilità. - Sì, - disse lui, - troppo vicini, è vero -. E parve allontanarsi all'infinito.
Perché il mistero sta anche in questa duplice lettura simultanea di un evento che tuttavia non si colloca né nell'una né nell'altra delle due versioni.
Ricordo che originariamente il termine trovare non significava affatto trovare nel senso del risultato pratico o scientifico. Trovare equivaleva a girare, fare il giro, andare attorno. Trovare un canto significava tornire la curva del movimento melodico, farlo girare, senza alcuna idea di scopo e tanto meno di sosta. Trovare era quasi sinonimo di cercare, che suonava: fare il giro di.
L'uomo di mondo vive nelle sfumature, nei gradi, nel chiaroscuro, nel confuso incanto o nella mediocrità indecisa: il mezzo. L'uomo tragico vive nella estrema tensione fra i contrari, dal sí confuso assieme col no, risale al sí e ai no chiari e chiaramente mantenuti in opposizione. Non vede l'uomo come una passabile mescolanza di qualità mediocri e di dignitosi difetti, ma come un insostenibile incontro di estrema grandezza e di estrema miseria, come un incongruo nulla in cui i due infiniti si scontrano. L'infinito intrattenimento
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