Meditando sulla morte dell’individuo contrapposta all’infinita immortale vita della natura, si osserva che la natura tutta è l’apparenza e anche il compimento della volontà di vivere: la forma di quest’apparenza è spazio e tempo e, tramite essa, individuazione, pertanto l’individuo deve aver fine, ciò che tuttavia non può affliggere la volontà di vivere, della cui apparenza l’individuo è solo, per così dire, un esempio particolare, così come il complesso della natura non viene afflitto dalla morte di un individuo, visto che a essa (la natura) rimane pur sempre la specie, alla cui conservazione soltanto tiene veramente, mentre è sempre pronta a far cadere l’individuo, che per lei non ha né può avere valore, visto che il suo regno sono tempo infinito e spazio infinito, e un numero infinito di individui possibili in essi. Nella sua evidente, pressante cura per la specie (attraverso l’enorme eccedenza dei semi e la potenza dell’istinto sessuale) e totale noncuranza per gli individui (che attraverso le accidentalità più insignificanti sono esposti in mille modi alla morte, anzi le sono già essenzialmente destinati) la natura dimostra la saggezza più grande, cioè che solo le idee, propriamente, esistono, non le cose singole.

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