Fra le stanze che oscuravano la mia viltà ve n’era una che rimbombava: era la notte. Io mi fingevo pazza e correvo a sollevare i pazzi dal suolo, come fiori spelatati. Non era luce che si dibatteva tra i cristalli, era la mia volontà di sopravvivere! e tu gagliardo incoraggiavi con una lesta manciata di monete incastrate nel mio desiderio di te che ombreggiavi nell’infinito. Io ero la tua stupidella che rimava a quattr’occhi nella sua cella di granito solidale agli affreschi ed affetti dei solitari. Ma tu perdonavi e rincorrevi l’anniversario della Luna che fra di molti biascicamenti sollevava il sole dal suo candelabro. Tu non eri la mia chiesa eri il mio demonio e la notte regina durava da eterno e mi rimaneva in gola il sapore della tua forzata risata che s’oscurava al levarsi del levante in una polveriera. Tramite il riso in gola s’oscurava la mia gioventù. Tu la risollevavi, silenziosa – nella sua castella delle abitudini. Dormire forzare il demonio ad accaparrarsi i brandelli della mia pietà, – dormire in una stanza ricoperta di tela e di arabeschi potenti come lo zigomo della tua faccia.
Io ero la tua stupidella
Crediti
Quotes per Amelia Rosselli
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