Samar continuava a parlare con quel suo strano fervore:
– Ascolta, tu non ascolti, dobbiamo spiegare che la nostra causa è giusta, bisogna che rendiamo pubbliche le pratiche dei fascisti, gli omicidi, gli stupri, le ruberie, i transfert, le case distrutte. Il cinema di denuncia, è questo il suo ruolo. Rendere di pubblico dominio. Bisogna…
– Ma anche noi…
Le ho detto che anche noi commettiamo degli errori, che anche noi ammazziamo, anche noi…
– Non è vero, quel che dici non è vero.
– Giuro che è vero! Damour. Noi a Damour…
– Non parlare di Damour! Ti sei dimenticato del quartiere dei mattatoi, di Karantina, di Na’aba, di Tell al-Za’atar?
– Compagna, non parlarmi con questo tono! Sta’ calma, sto solo dicendo la verità!
– No, non è la verità, la verità dev’essere al servizio della rivoluzione, questi sono discorsi che turbano i nostri militanti.
– La verità è al servizio della verità. Ascolta.
– Ascolta tu. La guerra è guerra.
– Lo so, giuro che lo so, si fanno errori in tutte le guerre, la cosa fondamentale è la questione politica, però commettiamo anche noi degli errori.
– No, tu la fai troppo grossa, come fa un combattente come te a parlare in questo modo?
– Giuro, sorella, io queste cose le, so. Eppure combatto e continuerò a combattere. Sí insomma, tutto questo non c’entra. Però è la verità.
Io rimango, dove vuoi che vada? Alla fine di quella conversazione, Samar mi ha consigliato di tornare all’università. Ma che università e università, come faccio a studiare? L’occhio sano non è mica sano, quando leggo per un po’ mi diventa rosso e mi piglia un dolore insopportabile, all’università non posso tornare e un altro mestiere non lo so fare. E poi non voglio. Come posso dimenticare? Metà dei miei amici sono morti martiri, come faccio? Li lascio nella tomba e scappo via, come ho fatto con Samíh? No.
Si è alzata, il cameriere ha portato il conto. Voleva pagare lei, non gliel’ho permesso.
Facce bianche
traduzione dall'arabo di Elisabetta Bartuli
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