«Vi era una donna allora in Alessandria — narra la Storia ecclesiastica del contemporaneo Socrate [Scolastico], avvocato alla corte costantinopolitana — il cui nome era Ipazia. Costei era figlia di Teone, filosofo in Alessandria, ed era giunta a un tale culmine di sapienza da superare di gran lunga tutti i filosofi della sua cerchia, ricevere in eredità (diadochè) l’insegnamento della scuola platonica derivante da Plotino, esporre a un libero uditorio tutte le discipline filosofiche […]. Da ogni parte accorrevano a lei quanti volevano filosofare».
Ipazia «aveva raggiunto un tale vertice d’efficacia nell’insegnamento, ed era così giusta e saggia e così straordinariamente bella e attraente» che gli allievi s’invaghivano di lei, si legge in Suida, il lessico bizantino del X secolo, nel lungo articolo intitolato Ipazia, o della faziosità degli Alessandrini. Le notizie di Suida derivano da due narrazioni, oggi perdute, del tempo di Giustiniano: quella, vera o presunta, di Esichio di Mileto e la Vita di Isidoro, ultimo sacerdote del tempio di Serapide, composta dall’ultimo scolarca dell’Accademia di Atene, il neoplatonico Damascio; di questa ci restano assai scarni frammenti. È presumibile sia la prima a dichiarare che Ipazia, «essendo per natura più dotata del padre, non si fermò agli insegnamenti tecnico-matematici praticati da lui ma si diede alla filosofia vera e propria, e con valore: pur essendo donna ella indossava il tribon [il mantello dei predicatori cinici] e andava per le vie del centro della città a spiegare pubblicamente a chiunque volesse ascoltarla Platone, Aristotele o qualcun altro dei filosofi.»
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