Oh cara, dappertutto c’è divisione: tra ciò che si muove e ciò che sta, tra ciò che si disgrega e corre verso la gola spalancata del futuro e ciò che si aggrappa alle macerie per resistere. Ipazia è la coscienza di questo, e in più la forza che accelera il moto. Non sono con lei, non la seguo, sono troppo perplesso e tardo ma non posso non ascoltarla quando argomenta e fa gemere la discordia e vibrare la gioventù del mondo: così recita il poeta Mario Luzi a proposito di una delle donne più celebri della storia antica e moderna. Nata in una stimolante e fiorente Alessandria d’Egitto, tra il quarto e il quinto secolo dopo Cristo, Ipazia rimane un personaggio tra i più interessanti per il suo essere donna, bella, intelligente, ma soprattutto colta, in un momento storico in cui il sapere era nelle mani di molti, uomini però. Diofanto, Apollonio di Perge, Claudio Tolomeo ed Euclide: queste le menti illustri su cui era basato lo studio della matematica e di cui Ipazia commentò le opere. I suoi scritti più importanti sono i tredici volumi di commento all’Aritmetica di Diofanto (matematico dal quale ancora oggi le equazioni a coefficienti interi con soluzioni a numeri interi prendono il nome) e un trattato di otto libri sulle Coniche di Apollonio. Trattato in cui si dimostra che l’intersezione di un doppio cono cavo con un piano origini, a seconda dei casi, il cerchio, l’ellisse, la parabola o l’iperbole.
Degna allieva del padre Teone, astronomo, matematico e rettore dell’università di Alessandria, la donna si dedicò alla stesura del Corpus Astronomico, una raccolta di tavole sui corpi celesti. Ipazia, scienziata a tutto tondo, si interessò anche di meccanica e, con un termine moderno, di tecnologia: disegnò strumenti scientifici tra cui un astrolabio piatto per misurare il livello dell’acqua, un apparato per distillare e un idrometro di ottone per determinare la densità dei liquidi.
Inoltre, come riporta Damascio, la donna gettandosi addosso il mantello e facendo le sue uscite nel mezzo della città spiegava pubblicamente, a chiunque volesse ascoltare, Platone o Aristotele o le opere di qualsiasi altro filosofo, probabilmente queste pittoresche parole servono, con una graziosa metafora, a sottolineare che Ipazia, in quanto donna, durante quel periodo non poteva assumere ufficialmente alcuna carica istituzionale e quindi ecco il simbolo nel mezzo della città ; il mantello potrebbe invece simboleggiare il suo affrontare un mantello di conoscenza di portata superiore a quelli del padre. Invero la donna non insegnò, come i maestri della filosofia greca, per le strade della città, ma introdusse molti alle scienze matematiche e filosofiche (così afferma Filostorgio) nella scuola di Alessandria in cui teneva lezioni assai frequentate da studenti, di cui molti, secondo la tradizione, erano persino innamorati di lei. Si dice che fosse poi divenuta la sposa del filosofo Isidoro o, in altri testi, che non si sposò mai perché affermava di essere già sposata alla verità, le diverse versioni concordano nel dire che rimase sempre casta e vergine.
I suoi primi studi filosofici ad Atene si concentrarono su Platone ed Aristotele, filosofi su cui ella tenne in seguito la maggior parte delle sue lezioni, ed influenzò poi gli ambienti filosofici alessandrini, applicando il ragionamento matematico al concetto neo – platonico dell’Uno, creatore del molteplice. Il suo ingegno le valse il riconoscimento dei contemporanei che indicarono in lei la terza grande caposcuola del Platonismo, dopo Platone e Plotino. Pochi anni dopo la morte della filosofa, il neoplatonismo tornò ad Atene, con una scuola che riprendeva la grande tradizione dell’Accademia. Insegnò ad Alessandria per più di vent’anni, dal 393 fino al giorno del suo assassinio, nel marzo del 415.
Infatti un ulteriore lato della straordinaria situazione di Ipazia fu il suo essere pagana in un ambiente ormai totalmente cristiano. Nel 412, quando divenne patriarca della città, Cirillo diede inizio ad una politica di persecuzioni conto i neoplatonici e gli ebrei, entrando così in contrasto con il prefetto Oreste, rappresentante dello Stato. Oreste non era ben visto dalla maggior parte dei cristiani ed era amico di Ipazia: iniziò allora a far circolare la voce che fosse quella donna sovversiva e dotata di arti oscure la causa del conflitto tra Stato e Chiesa. Tre anni dopo l’arrivo di Cirillo, nel periodo della sacra quaresima, una folla di cristiani fanatici, istigati ed infuocati dalla predicazione del patriarca, assalì Ipazia che aveva rifiutato di convertirsi al Cristianesimo e di abbandonare le sue posizioni.
Credendo così di cancellarla per sempre dalla storia: le strapparono le vesti di dosso, sfregiarono la sua pelle e lacerarono le carni del suo corpo con delle conchiglie affilate finché non esalò l’ultimo respiro. Squartarono il suo corpo e la ridussero in cenere: questa la descrizione dello storico cristiano Socrate Scolastico.
Tale fu la fine di questa poliedrica donna, fine che portò il celebre poeta Vincenzo Monti a declamare:
La voce alzate, o secoli caduti,
Gridi l’Africa all’Asia e l’innocente
Ombra d’Ipazia il grido orrendo aiuti.
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