L’origine del costume è da riportare a due pensieri: «la comunità è più importante dell’individuo» e «il vantaggio durevole è da preferire a quello temporaneo»; di qui risulta la conclusione che il vantaggio durevole della comunità è da anteporre incondizionatamente al vantaggio dell’individuo, specialmente al suo benessere momentaneo, ma anche al suo vantaggio durevole e persino alla sua vita.
Sebbene l’individuo, per un’istituzione che giova alla comunità, soffra, per essa intristisca, a causa di essa si rovini – bisogna che il costume venga conservato, che il sacrificio venga consumato.
Un tal modo di pensare nasce però solo in coloro che non sono la vittima; perché quest’ultima fa valere nel suo caso la possibilità che l’individuo sia più importante dei molti, come anche che il godimento presente, l’attimo di paradiso sia forse da stimare più altamente di un piatto perdurare di stati senza dolori o di benessere.
Ma la filosofia della vittima si fa sentire sempre troppo tardi: e così si persevera nel costume e nella moralità: la quale è appunto solo il sentimento per tutto l’insieme dei costumi fra cui si vive e in cui si è stati educati – educati cioè non come singoli, ma come membri di un tutto, come cifre di una maggioranza. Così avviene costantemente che, per mezzo della sua moralità, l’individuo metta se stesso in minoranza.
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