Il legame tra la violenza lenta delle ingiustizie socio-ecologiche strutturali e l’aperta violenza della repressione delle forze di polizia si è manifestato in maniera drammatica il 10 gennaio 2011, in un tribunale istituito per giudicare la rivolta di Pianura del 2008. Un testimone stava ricordando con emozione la repressione del 2004 contro i cittadini disarmati, quando il giudice interruppe la deposizione sostenendo che era tempo di dimenticare quelle vecchie storie (Processo per i disordini di Pianura 2011b). L’uomo rispose che la moglie aveva il cancro e che perciò lui non avrebbe mai dimenticato. Mi pare proprio che la vicenda rappresenti bene la logica del Wasteocene e la sua violenza. Nel processo sulla rivolta di Pianura, lo Stato, impersonato dal giudice, chiedeva alle vittime di dimenticare le violenze perpetrate dalla polizia semplicemente perché «era passato del tempo». Dall’altra parte, un testimone, che aveva subito la repressione, affermava il proprio diritto a ricordare. Ancora più interessante per comprendere la logica del Wasteocene è il collegamento apparentemente casuale presentato dal testimone tra le violenze perpetrate dalla polizia e la malattia della moglie. Tale collegamento non è affatto arbitrario, ma esprime effettivamente il legame tra una violenza lenta – cioè l’ingiustizia ambientale incarnata dalla discarica e dal corpo della donna – e la violenza della repressione. Di fatto, senza un apparato repressivo sarebbe impossibile imporre alle comunità marginali una distribuzione disuguale dei rischi. Chiedere alle persone di dimenticare la violenza subita mentre si giudica la violenza di coloro che le si ribellano è abbastanza emblematico della logica del Wasteocene: normalizzare relazioni socio-ecologiche ingiuste, giustificare la violenza della repressione e nascondere la violenza lenta del sistema.
La discarica globale
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