Non c’è nessuna ragione a priori per presumere che i processi inconsci debbano inevitabilmente avere un soggetto, nessuna più di quelle che si hanno per dubitare della realtà dei processi psichici. Evidentemente il problema diventa difficile quando si suppongono atti inconsci della volontà. Se questa non deve soltanto essere una faccenda di istinti e di inclinazioni ma piuttosto di scelta e di decisione avvedute, peculiari alla volontà, allora difficilmente si può evitare la necessità di un soggetto discriminatore al quale le rappresentazioni si riferiscono. Ma questo, per definizione, equivarrebbe a situare una coscienza nell’inconscio, sebbene questa sia un’operazione concettuale che non presenta grandi difficoltà per lo psicopatologo. Egli ha familiarità con un fenomeno psichico che sembra del tutto sconosciuto alla psicologia accademica e cioè la dissociazione o la dissociabilità della psiche. Questa particolarità nasce dal fatto che il legame che unisce tra loro gli stessi processi psichici è assai incerto. Non solo i processi inconsci sono talvolta stranamente indipendenti dalle esperienze della mente conscia, ma anche i processi psichici dimostrano un chiaro allentamento o distacco. Noi tutti sappiamo di assurdità causate da complessi e osservabili con la massima evidenza nell’esperimento associativo. Esattamente come i casi di doppia coscienza, di cui Wundt dubitava, si verificano realmente, così i casi nei quali non sia scissa a metà l’intera personalità, ma siano dissociate soltanto parti minori, sono assai più probabili e infatti anche più comuni: essi costituiscono una delle antiche esperienze dell’umanità che si riflette nella supposizione generale di una pluralità di anime entro un solo medesimo individuo. Come dimostra la pluralità dei componenti psichici percepita al livello primitivo, lo stato originale è lo stato in cui i processi psichici sono intrecciati molto labilmente e non formano in alcun modo una unità autosufficiente. Inoltre l’esperienza psichiatrica indica che spesso ci vuole ben poco per frantumare l’unità di coscienza così laboriosamente costruita nel corso dello sviluppo e dissociarla di nuovo nei suoi elementi originari.
Questa dissociabilità ci mette anche in grado di evitare le difficoltà che derivano dal presupposto logicamente necessario di una soglia della coscienza. Se è giusto dire che i contenuti consci diventano sub-liminali per perdita di energia, e reciprocamente che i processi inconsci diventano consci per accrescimento di energia, allora, se gli atti inconsci di volizione devono essere possibili, ne segue che questi devono possedere una energia che permetta loro di raggiungere la coscienza, o comunque uno stato di coscienza secondaria che consiste nel fatto che un processo inconscio viene rappresentato a un soggetto sub-liminale che sceglie e decide. Questo processo deve necessariamente possedere la quantità di energia richiesta per raggiungere tale coscienza, in altre parole esso è forse obbligato a raggiungere il suo punto di emergenza. Se è così, ci si deve chiedere il motivo per cui il processo inconscio non va direttamente al di sopra della soglia e non diventa percepibile all’ego. Dato che ovviamente non fa questo, ma apparentemente resta sospeso nel dominio di un soggetto secondario sub-liminale, dobbiamo ora spiegare perché il soggetto, che ex hypothesi è carico di sufficiente energia per divenire conscio, non si spinge a sua volta al di là della soglia e non si articola con la coscienza primaria dell’ego. La psicopatologia possiede il materiale necessario per rispondere a questa domanda. Questa coscienza secondaria rappresenta una componente della personalità che non si è separata per mero accidente dalla coscienza dell’ego, ma deve la sua separazione a cause definite. Una tale dissociazione ha due aspetti distinti; in un caso c’è un contenuto originariamente conscio che divenne sub-liminale perché represso a causa della incompatibilità della sua natura, nell’altro caso il soggetto secondario consiste essenzialmente di un processo che non entrò mai per nulla nella coscienza poiché in essa non esistono possibilità di percepirlo. Vale a dire, la coscienza dell’ego non lo può accettare per mancanza di comprensione, e di conseguenza esso rimane per la maggior parte sub-liminale sebbene dal punto di vista dell’energia sia pienamente in grado di divenire conscio. Esso deve la sua esistenza non alla repressione, ma ai processi sub-liminali che di per sé stessi non furono mai consci. Tuttavia, siccome in ambedue i casi c’è sufficiente energia da renderli potenzialmente consci, il soggetto secondario ha veramente un effetto sulla coscienza dell’ego, indirettamente o – come diciamo – simbolicamente, sebbene questa espressione non sia particolarmente felice. In realtà i contenuti che appaiono alla coscienza sono dapprima sintomatici. Per quanto noi sappiamo, o pensiamo di sapere, su ciò cui essi si riferiscono o su cui si fondano, essi sono semiotici, anche se la letteratura freudiana usa costantemente il termine simbolico senza considerare il fatto che in realtà i simboli esprimono sempre quello che non sappiamo. I contenuti sintomatici sono in parte veramente simbolici, essendo i rappresentanti indiretti di stati o di processi inconsci la cui natura può essere dedotta solo imperfettamente e realizzata soltanto dai contenuti che appaiono nella coscienza. E perciò possibile che l’inconscio ospiti contenuti così ricchi di energia che in altre condizioni essi dovrebbero essere percepibili all’ego. Nella maggior parte dei casi essi non sono contenuti repressi ma semplici contenuti che non sono ancora consci e che non sono stati soggettivamente constatati, come i demoni o le divinità dei primitivi o gli ismi ai quali crede tanto fanaticamente l’uomo moderno. Questo stato non è né patologico né in alcun modo peculiare; è anzi la norma originale, mentre la integrità psichica inclusa nella unità di coscienza è una meta ideale che non è ancora mai stata raggiunta.
Non a torto noi colleghiamo la coscienza, per analogia, con le funzioni sensoriali, in base alla fisiologia dalla quale deriva l’intera idea di soglia. Le frequenze sonore percepibili dall’orecchio umano vanno da venti a ventimila vibrazioni al secondo; le lunghezze d’onda della luce visibile all’occhio da 7.700 a 3.900 unità angstrom. Questa analogia rende concepibile il fatto che esista una soglia sia inferiore che superiore per gli eventi psichici, e che la coscienza, il sistema percettivo per eccellenza, possa perciò essere paragonata con la scala percepibile del suono e della luce, avendo al pari di essi un limite inferiore e uno superiore. Forse questo paragone potrebbe essere esteso alla psiche in genere, il che non sarebbe impossibile se ci fossero processi psicoidi ad ambedue gli estremi della scala psichica. In base al principio natura non facit saltus una tale ipotesi non sarebbe del tutto fuori posto… Se mi servo del termine psicoide lo faccio con tre riserve: primo, lo uso come un aggettivo, non come un nome; in secondo luogo esso non implica nessuna qualità psichica nel vero senso della parola, ma solo qualità quasi-psichiche quali quella del processo di riflesso; e in terzo luogo, è rivolto a distinguere una categoria di eventi da fenomeni meramente vitalistici da un lato e dall’altro da processi specificatamente psichici. Quest’ultima distinzione ci obbliga anche a definire più attentamente la natura e l’esensione della, psiche, e della psiche inconscia in particolare.
Se l’inconscio può contenere tutto quello che sappiamo essere funzione della coscienza, dobbiamo affrontare la possibilità che anch’esso come la coscienza possieda un soggetto, una specie di ego. Questa conclusione trova la sua espressione nell’uso comune e sempre ricorrente del termine subcoscienza. Questo ultimo termine si presta certamente ad equivoci in quanto o significa ciò che è al di sotto della coscienza o postula una coscienza inferiore e secondaria. Nello stesso tempo la ipotetica subcoscienza che si associa immediatamente alla supercoscienza isola il vero centro della mia argomentazione: il fatto cioè che un secondo sistema psichico coesistente con la coscienza – non importa quali siano le qualità che-sospettiamo possieda – ha una importanza assolutamente rivoluzionaria in quanto potrebbe radicalmente mutare la nostra visione del mondo. Anche se nella coscienza dell’ego non affiorasse di questo secondo sistema psichico altro che le percezioni, avremmo la possibilità di estendere enormemente i limiti del nostro orizzonte mentale.
Una volta che abbiamo preso seriamente in considerazione la ipotesi dell’inconscio ne segue che la nostra visione del mondo può essere soltanto provvisoria; poiché se apportiamo un’alterazione così radicale al soggetto della percezione e della cognizione come questa duplice focalità richiede, il risultato deve essere una visione del mondo molto differente da qualunque altra nota in precedenza. Questo vale soltanto se si mantiene valida l’ipotesi dell’inconscio, che a sua volta può essere verificata soltanto se i contenuti inconsci possono essere mutati in contenuti consci se cioè i disturbi emananti dall’inconscio, gli effetti delle manifestazioni spontanee, di sogni, di fantasie e di complessi, possono essere felicemente, integrati nella coscienza, mediante il metodo dell’interpretazione.
Articoli simili
Nozione di archetipo
21/08/2022Il 25 luglio 1954, giorno del suo 79° compleanno, all’indomani del Congresso internazionale di psicoterapia, tenuto a Zurigo dal 20 al 24 luglio, il professor ari Gustav Jung mi invitò a partecipare al ricevimento organizzato nella sua villa di Küsnacht, posta sul lago. Il tempo era splendido e gli invitati furono ricevuti in giardino. Io…
Conscio e inconscio
17/08/2022Questa domanda riguardante la natura dell’inconscio porta con sé le straordinarie difficoltà intellettuali che la psicologia dell’inconscio ci propone. Tali difficoltà devono inevitabilmente sorgere ogni qualvolta la mente si getta arditamente nell’ignoto e nell’invisibile. Il nostro filosofo prende una posizione assai abile al riguardo poiché, rifiutando decisamente l’inconscio, spazza con un colpo solo ogni complicazione…
Istinto e volontà
15/08/2022Mentre nel corso del diciannovesimo secolo la principale preoccupazione era di porre l’inconscio su una base filosofica, verso la fine di quel secolo furono fatti vari tentativi in diverse parti d’Europa, più o meno contemporaneamente e indipendentemente l’uno dall’altro, di comprendere l’inconscio sperimentalmente o empiricamente. I pionieri in questo campo furono Pierre Janet in Francia…
Ancora nessun commento