E ovunque Eugene vedeva la paura, la solitudine e la fame, la fame oscura e appassionata, la fame di leggere tutti i libri e di vedere tutti i volti, la fame che dalla biblioteca lo spingeva fino a Boyleston Street e ritorno, la fame insaziabile e curiosa di vedere tutto, conoscere tutto, di mettere la sapienza ultima, la bellezza estrema e sublime, in una fiala di parole. E poi i mesi trascorsi a salire e scendere dalle navi, i mesi di vagabondaggio, alla deriva, trascorsi a bere e a morire di fame, il ritorno spettrale alla città perduta tra i monti, la ricerca del ragazzo perduto, della vita sommersa, e il lacero ritorno alle eleganti facciate degli edifici di Boston. E la fame, la fame cieca e disperata per tutte le cose perdute, l’aggirarsi come una belva insensata, la fame di un limite alla propria forza, di una meta per il cuore, per la mente, per lo spirito.
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