La festa della natività
«Guai alla Chiesa» egli scrisse nelle Osservazioni sulla Morale cattolica «se ella facesse un giorno pace col mondo! se desistesse dalla guerra che il Vangelo ha intimata!» Egli crede nella guerra di Cristo, la guerra di chi con enfasi gagliarda aveva detto di essere venuto a portare fuoco sulla terra e voleva che il fuoco divampasse; che era venuto a portare divisione anche nella stessa sua casa. E se i discepoli avessero sentito rumori di guerra non avrebbero dovuto temere perché era necessario che questo accadesse. E non sarà ancora la fine. Si sarebbe sollevato popolo contro popolo e regno contro regno. Ci sarebbero stati terremoti in più luoghi, carestie. Erano soltanto gli inizi dei dolori. Manzoni ne è come impaurito, eppure non potrà sottrarsi ad affrontare questo scenario di disperazione. E forse nessun poeta cattolico ha dato della festa più lieta, la festa della natività, che nel 1833 era caduta nel giorno stesso della morte di sua moglie Enrichetta, un quadro più impressionante. Quel fanciullo appena nato, nascosto tra i lini, in braccio a sua madre, è un fanciullo severo, terribile, che sembra regnare sopra i turbini. Egli vede le nostre lagrime, ascolta il nostro grido, ci interroga, ma poi decide secondo quello che vuole. È l’immagine di un Gesù armato. E si deve dar ragione a Goethe quando disse che Manzoni aveva un solo difetto: di non sapere quale grande poeta egli fosse e quali diritti, in quanto tale, gli spettassero.

Crediti
 Giovanni Macchia
 SchieleArt •   • 



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