Lo scrittore e saggista austriaco Stefan Zweig, in un articolo del ’31, annotava che ogni essere umano «grazie al libro, non è più murato solo con sé stesso nel proprio ristretto campo visivo: può invece rendersi partecipe di tutti gli avvenimenti presenti e passati, dell’intero pensare e sentire dell’intera umanità». Attraverso i libri – continuava Zweig – «un mondo più tumultuoso e selvaggio irrompeva all’interno delle mura dell’abitazione borghese»; grazie ai libri «ho intuito per la prima volta l’incommensurabile vastità del mondo e il piacere di smarrirmi in essa»; leggendo non si vede la realtà soltanto con i propri occhi, «ma con lo sguardo di innumerevoli anime». Chi legge segue il desiderio di vivere una vita allontanante, di lasciarsi magari alle spalle un mondo tetro e spiacevole, ed evadere in uno più vasto, più vario e più ricco o più intimo. L’allontanamento può salvare dal sentirsi schiacciati dal presente e dalle incombenze spesso uggiose del vivere. Chi legge può andare là dove altri non ci sono, in un territorio tutto suo, una via del rifugio. L’esperienza di un lettore non è limitata alla propria esistenza di uomo sulla terra. Nella vita, notava Antonio Tabucchi, «si può avere un grande amore, è già una fortuna, due grandi amori è un privilegio che tocca a pochi, ma l’esperienza umana è estremamente limitata»; tramite la letteratura invece, fonte di conoscenza, «tu entri, attraverso varie porte, in questo sentimento complesso che non potresti mai esperire in forma diretta, perché è chiaro che non possiamo essere simultaneamente, nella nostra breve vita, Anna Karenina e, poniamo, Tristano e Isotta o Emma Bovary o Giulietta e Romeo». Grazie ai libri riusciamo invece a vivere più vite, non esclusivamente l’immediato nostro presente. Il libro è il pensiero vivente di una persona, separata da noi dallo spazio del tempo, e ci parla. Alla memoria personale aggiungiamo una memoria collettiva, e l’intrico delle due «allunga la nostra vita, sia pure all’indietro», scrive Umberto Eco nelle Sei passeggiate nei boschi narrativi, «[…] in qualche modo nel corso della nostra vita noi possiamo rabbrividire con Napoleone per un levarsi improvviso del vento dell’Atlantico su Sant’Elena, gioire con Enrico IV per la vittoria di Azincourt, soffrire con Cesare per il tradimento di Bruto». In un saggio del 1919, La lettura, ancora Virginia Woolf rilevava con rapita scrittura la magica possibilità umana del leggere come circostanza capace di far volgere la mente al passato, quando, grazie a una eventuale complice calma e calda mattina d’estate, un libro soltanto – dietro alle voci del presente, le figure, una fontana, le cose… – permette di aprire una strada infinita che si allunga sino a incontrare come in un fuga musicale una variazione innumerevole di altre voci, altre figure, altre fontane… Apre da quel momento la valorizzazione di uno spazio privato, il tempo lento del leggere in spazi sottratti alla giornata.
La lettura come via del rifugio
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