Il supremo e solo segreto di Dostoevskij, l’ardente fonte creatrice della sua estasi è l’amor fati, l’illimitata, assoluta, intera e consapevole dedizione al suo destino antitetico. Proprio perché la vita gli era stata misurata in maniera così potente, proprio perché nel dolore essa gli palesava l’incommensurabilità del sentimento, per questo la amava, crudele e benigna, divina e incomprensibile, la vita che non si apprende mai, eternamente mistica. La misura di Dostoevskij è l’infinito. Non voleva il corso della vita più blando, voleva solo sé stesso più concentrato ancora, più intenso e a tal fine non scansava mai i pericoli interiori o esteriori. Sviluppava con entusiasmo ed estasi ogni germe dentro di sé, quello del bene e quello del male, ogni passione e ogni vizio, non estirpando nessun pericolo dal proprio sangue. Egli ha restituito il dominio sul suo destino al destino stesso: con ciò la sua vita acquista potenza sopra il tempo e sopra il caso. Se le altre opere letterarie sorgono come montagne fiorite dalla pianura del tempo, al contrario la cima della sua creazione, fantastica e grigia, sembra di pietra vulcanica e nuda. Ma dentro il cratere del suo petto dilaniato, la fiamma giunge fino alle profondità infuocate del nostro mondo: lì ci sono ancora dei legami col principio di tutti i princìpi, con gli elementi primi della forza primordiale e rabbrividendo sentiamo nel suo destino e nella sua opera la misteriosa profondità di tutta l’umanità.
La misura dell’infinito: la vita di Dostoevskij
Crediti
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