Gustave Doré ⋯ Morte di SaulIl sentimento morale è oggi in Europa tanto sottile, vecchio, complesso, irritabile, raffinato, quanto la «scienza della morale» che ad esso attiene è ancora giovane, esordiente, goffa e grossolana – contrasto affascinante, che a volte diventa esso stesso visibile e vitale nella persona di un moralista. – Già il termine «scienza della morale», se si tien conto di ciò che viene in tal modo designato, è fin troppo altezzoso e contrario al buon gusto, il quale preferisce sempre espressioni più modeste; dovremmo confessare a noi stessi, con grande rigore, che cosa, qui sarà ancora necessario per molto tempo, e che cosa ha legittimità solo temporaneamente: e cioè la raccolta del materiale, la sistematizzazione e organizzazione concettuale di un regno immenso di teneri sentimenti e differenze di valore che vivono, crescono, procreano e vanno in rovina – e, forse, i tentativi di rendere evidenti le strutture ricorrenti e più frequenti di questa cristallizzazione vivente come preparazione a una tipologia della morale. In verità: non si è mai stati fino ad oggi così modesti.

Tutti i filosofi nessuno escluso, non appena si occuparono della morale come scienza, pretesero con una rigida serietà che muove al riso, qualcosa di molto più alto, di più presuntuoso, di più grave: essi vollero la fondazione della morale, — e ogni filosofo era convinto finora di aver fondato la morale; ma la morale stessa era considerata però come «data». Come era lontano dalla loro goffa arroganza quel compito poco apparente e lasciato alla polvere e alla muffa di una descrizione, benché per esso potessero essere sufficienti le mani più abili e i sensi più raffinati! Proprio perché i filosofi della morale conoscevano i facta morali solo in modo approssimativo, in un compendio arbitrario o come casuale abbreviazione quasi come moralità del loro ambiente, della loro cerchia, della loro chiesa, dello spirito del loro tempo, del loro clima e della loro regione, – proprio perché riguardo ai popoli, alle epoche, al passato, erano male informati e addirittura poco avidi di sapere, essi non si trovarono mai di fronte ai veri problemi della morale: come tali essi emergono tutti solo da un confronto di molte morali.

In ogni «scienza della morale» finora esistita è mancato per quanto strano possa suonare anche il problema stesso della morale. È mancato il sospetto che si celasse qui qualcosa di problematico. Ciò che i filosofi chiamavano «fondamento della morale» e che pretendevano da se stessi, era, visto nella sua giusta luce, solo una forma dotta della buonafede nella morale dominante, un nuovo mezzo della sua espressione, dunque uno stato di fatto all’interno di una determinata moralità, addirittura, in definitiva, una sorta di negazione che questa morale potesse essere considerata come problema: – e in ogni caso il contrario di una verifica, di una dissezione, di una messa in dubbio, di una vivisezione, appunto, di questa fede.

Si badi ad esempio, con quale innocenza, quasi degna di venerazione, anche Schopenhauer presenti il proprio compito e si traggano le conclusioni sulla scientificità di una «scienza», i cui più recenti maestri parlano ancora come ne parlerebbero dei fanciulli e delle vecchie donnette: – «Il principio, egli dice, la regola fondamentale sul contenuto del quale tutti i teorici della morale sono veramente d’accordo, è: neminem laede, immo omnis, quanto potest, iuva – questa è la proposizione che tutti i maestri della morale si sono sforzati di fondare…

Il fondamento effettivo dell’etica che viene cercato da millenni come la «pietra filosofale» – la difficoltà di fondare la proposizione citata può essere effettivamente grande – come è noto non ci sono riusciti neppure gli schopenhaueriani -; e chi una volta ha sentito profondamente quanto sia assurdamente falsa e sentimentale questa proposizione in un mondo la cui essenza è volontà di potenza -, dovrà ricordare che Schopenhauer, pur essendo pessimista, in realtà – suonava il flauto… Ogni giorno, dopo aver pranzato, si leggano a questo proposito i suoi biografi. E una domanda di passaggio: un pessimista, un negatore di Dio e del mondo che si ferma di fronte alla morale, – che dice di sì alla morale e suona il flauto, alla morale del laede neminem: è veramente – un pessimista?

Crediti
 Friedrich Nietzsche
 Al di là del bene e del male
  Per la storia naturale della morale
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