Nonostante si fosse reso conto della situazione, Abhimanyu non era certo tipo che si scoraggiava.
Io non so come uscire da questo intreccio di armate, disse al suo auriga, e perciò siamo prigionieri. Ma una soluzione esiste ancora: distruggere totalmente l’esercito Kurava.
Muovendosi come un vortice, il giovane distruggeva qualsiasi cosa gli venisse a tiro; la cosa faceva impazziva dalla rabbia Duryodhana che si domandava come potesse un ragazzo di quell’età essere tanto abile. Sembrava impossibile. Per di più egli non si accontentava di massacrare i soldati semplici, ma uccise molti celebri guerrieri; Rukmaratha e altri figli di Shalya furono tra coloro che caddero nel coraggioso tentativo di opporsi a Abhimanyu. Davanti a lui tutti erano costretti a fuggire o a morire. Il fiero Lakshmana, uno dei figli più cari a Duryodhana, non poté sopportare quella visione di gloria guerriera e si lanciò all’attacco, ma perse il duello e la vita. Quell’improvvisa tragedia, avvenuta in pochi secondi, traumatizzò l’invidioso re Kurava.
Quel maledetto deve essere ucciso in qualsiasi modo, urlò con rabbia inaudita.
E i protagonisti di una delle più crudeli tragedie successe a Kurukshetra cominciarono a prendere i loro posti sulla scena: sei maharatha, e cioè Drona, Kripa, Asvatthama, Karna, Brihadbala e Kritavarma circondarono Abhimanyu e lo attaccarono contemporaneamente; ma anche in quella maniera questi non cedette, e contrattaccò, sconfiggendoli tutti. Addirittura il potente Brihadbala perse la vita in quell’occasione.
Il corpo di Karna era una maschera di sangue, e Asvatthama riuscì solo per miracolo a salvare la vita di uno dei suoi figli da quella furia. In quel vortice di distruzione i Kurava decisero che Abhimanyu doveva essere eliminato con ogni mezzo, leale o sleale che fosse. E l’atto più vile che uno kshatriya abbia mai potuto immaginare fu perpetrato da Karna: mentre Abhimanyu fronteggiava contemporaneamente un attacco fatto da Drona e da altri, dalle spalle gli scagliò una freccia contro la corda dell’arco, troncandola di netto e spezzando con una seconda lo stesso arco. Stupito da quel vile atto, Abhimanyu si girò per scoprire chi ne fosse stato l’autore.
Solo tu, figlio di un suta, potevi attaccare un nemico in questo modo. Dove il valore manca, vive l’imbroglio e il gioco dei dadi. Ma presto anche tu avrai ciò che meriti.
Ma sfruttando quel momento di distrazione, Drona gli uccideva i cavalli, mentre Kripa eliminava i due auriga. E intanto che Abhimanyu era ancora sul carro, privo di armi, sei maharatha lo attaccarono senza dargli il tempo di organizzare una difesa. Gli occhi del giovane, nato dall’energia del deva della luna, divamparono di un rosso fuoco, e la furia li rese molto simili a quelli di Krishna. Gridò a Drona:
Tu sei stato il maestro di mio padre, e quindi dovresti essere un uomo virtuoso; come avete potuto, tu e Kripa, attaccarmi mentre ero girato verso Karna?
Agguantata la spada, saltò giù dal carro oramai immobile, e si precipitò verso di loro con tutta l’intenzione di fare giustizia sommaria. Ma gli atti ignobili degli spaventati Kurava non erano ancora terminati. Aggiratolo, dal di dietro Drona gli ruppe la spada e Karna gli frantumò lo scudo.
Ora l’eroico Abhimanyu era fieramente ritto sul campo di Kurukshetra, privo di qualsiasi arma. Afferrata la ruota di un carro, il corpo pieno di frecce e interamente bagnato di sangue e il viso infuriato che brillava sinistramente, Abhimanyu prese a farla girare vorticosamente sopra la testa, chiamando uno ad uno per nome i suoi avversari e sfidandoli ad avvicinarsi e a combattere lealmente. In quella posa sembrava un secondo Vishnu.
Resosi conto che nessuno aveva il coraggio sufficiente per accettare la sfida, si lanciò con quella ruota contro le file nemiche, gettando ancora lo scompiglio e il terrore, finché non riuscirono a frantumargliela fra le mani.
Ma Abhimanyu, che non aveva affatto abbandonato l’idea di sterminare da solo l’esercito avversario, prese una mazza dal terreno e ancora una volta li sfidò a venire avanti uno alla volta. Vedendolo alto e fiero, ben piantato sulle gambe e fumante rabbia, di nuovo nessuno accettò la sfida ed egli di nuovo li attaccò.
Asvatthama, spaventato, fece appena in tempo a fuggire, prima che insieme al carro, ai cavalli e all’auriga, ne potesse uscire distrutto egli stesso. Messo in fuga il brahmana, Abhimanyu si lanciò contro il figlio di Dusshasana e lo privò del mezzo. I due fieri giovani continuarono a piedi il combattimento, ma appena Abhimanyu, stanco e ferito, tardò un momento a rialzarsi, il figlio di Dusshasana, trasgredendo a ogni regola di lealtà kshatriya, lo colpì alla testa. Abhimanyu cadde a terra senza più vita.
Era stato uno dei crimini più vili mai accaduti in tutta la storia di una nazione che aveva portato la civiltà nel mondo.
Quando i Pandava sentirono le grida di gioia e il suono dei corni dei Kurava, capirono che l’amato nipote era caduto. Torturato dal dolore e dal rimorso, Yudhisthira pianse lacrime amare fino a perdere i sensi.
E quando il sole tramontò e tutti tornarono mestamente all’accampamento, nessuno riusciva a pensare ad altri che ad Abhimanyu e a cosa avrebbero potuto dire al padre quando questi fosse tornato.
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