Ho già avuto modo di analizzare la condizione di estraneità e i sentimenti angoscianti alla base dei testi letterari dello scrittore praghese e ho preso in considerazione l’immagine di quest’animale braccato come tragica rappresentazione del rifiuto e dell’inadeguatezza. La potenza e il fascino della scrittura Kafkiana, in particolare di questo racconto, risiedono tutti nell’orrore che ci coinvolge, perché ognuno di noi paventa – proprio con la stessa ripugnanza che la vista di uno scarafaggio ci procura – un simile abbandono, una simile morte. Non solo il sentimento d’essere rifiutati in vita, ma addirittura essere rifiutati nella morte, abbandonati nell’istante supremo dell’angoscia. Kafka stesso scriverà amaramente a Milena Jesenská di un ricordo d’infanzia inerente al tentativo delle sorelle di gettarlo in un fiume:forse perché mi ritenevano superfluo. Stessa sorte toccherà a Gregor Samsa tramutato in scarafaggio: verrà colpito dal padre con una mela che, conficcatasi sul dorso, lentamente marcirà infettando la parte. Sempre più debole e malato, verrà lasciato a languire fino a che, solo e sfinito, morirà nell’abbandono più totale. La tragedia di Gregor Samsa è quasi inenarrabile, e la lasciamo ai lettori; quello che interessa la mia riflessione, è l’intuizione Kafkiana circa il rifiuto del morente da parte dei suoi simili. Intuizione che anticipa la condizione moderna del moribondo che neppure i familiari riescono a sorreggere e ad amare nel momento dell’agonia. Simile all’orrore che si prova alla vista di un insetto malaugurale è la paura nei confronti del morente; un essere improvvisamente divenuto estraneo, alieno, già abitatore di una realtà di cui, se privi di vita simbolica, non si riesce a decifrare nulla. La morte è orrore del vuoto. Sembriamo incapaci di rappresentarci la sparizione, la fine, la necessità della fine. Il morente è troppo minaccioso; l’alterazione del suo corpo, la trasformazione della sua immagine sono qualcosa che non è sostenuto e bilanciato da alcuna fantasia di trasformazione finale. Un tempo, dinnanzi all’orrore della metamorfosi finale, ci si appellava alla resurrezione della carne, a fantasie di corpi rinnovati e glorificati, resi simili agli angeli. Quali fantasie di ricomposizione possiede oggi l’uomo? E come risponde all’angoscia? Kafka non ha dubbi: dinanzi alla morte si fugge, anzi la tentazione, proprio come quella dei familiari di Samsa, è di sbarazzarsi di qualcosa che rende terrificanti le giornate.
La morte è orrore del vuoto
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