Mi ricordo la notte del venerdì 28 marzo 2003, quando un diluvio di fuoco si è abbattuto su Bagdad. Ero nella mia residenza di Bab el-Aziziya, inchiodato alla poltrona, di fronte a uno schermo al plasma, letteralmente risucchiato dalle glauche tenebre che promanavano dalla città di Harun al-Rashid. I razzi illuminanti si sgranavano in mezzo al balletto dei missili Tomahawk, i mitragliatori della difesa aerea disegnavano nel cielo impressionanti tratteggi fosforescenti, gli edifici crollavano in un florilegio di cemento e acciaio, i depositi di munizioni si scomponevano in una moltitudine di comete filamentose. Era stato uno spettacolo magico, una spaventosa fantasmagoria. All’arsenale apocalittico delle forze coalizzate si contrapponeva la temerarietà degli iracheni. Davide e Golia ingaggiavano una lotta titanica coordinata da un geniale coreografo. Le sirene d’allarme si mescolavano a quelle delle ambulanze orchestrando una sinfonia della disgrazia di insostenibile intensità e bellezza. Mi sarebbe piaciuto morire quella notte, tra le braccia straziate di Bagdad, in una nazione orgogliosa e mirabilmente combattiva; mi sarebbe piaciuto far scudo con il mio corpo a una stele destinata a esplodere in mille pezzi, o essere dilaniato da un obice gridando: «Morte all’invasore!». Per un martire non c’è gratificazione maggiore che rendere l’anima senza rendere le armi, identificandosi con ogni palla di fuoco, ogni schiocco di culatta, ogni brandello di carne ghermito dalla spirale del sacrificio supremo.
Finché ci saranno i poteri di nazioni ricche che usano le armi per diffondere il loro dominio saccheggiando e distruggendo interi paesi, il mondo vivrà sempre nel terrore, ciò che possiamo usare in difesa della terra è il boicottaggio di tutti quei paesi che producono e commerciano armi e creano guerre in nome di una democrazia e di odio razziale, che uccidono intere nazioni sotto il falso ideale che chiamano libertà.
Bob MarleyPerfino in quel pomeriggio dovevano esserci stati momenti in cui Daisy non era riuscita a stare all'altezza del sogno, non per sua colpa, ma a causa della vitalità colossale dell'illusione di lui che andava al di là di Daisy, di qualunque cosa. Gatsby vi si era gettato con passione creatrice, continuando ad accrescerla, ornandola di ogni piuma vivace che il vento gli sospingesse a portata di mano. Non c'è fuoco né gelo tale da sfidare ciò che un uomo può accumulare nel proprio cuore.
Francis Scott Fitzgerald Il grande GatsbyPer ribellarsi occorrono sogni che bruciano anche da svegli, occorre il dolore dell’ingiustizia, la febbre che toglie all’uomo la malattia della paura, dell’avidità, del servilismo.
Per ribellarsi bisogna saper guardare oltre i muri, oltre il mare, oltre le misure del mondo.
La miseria dell’uomo incendia la terra ovunque, ma è un fuoco sterile, che cancella e impoverisce.
È un fuoco che odia ciò che lo genera, è cenere senza storia.
Saper bruciare solo ciò da cui poi nascerà erba nuova, ecco la vera ribellione.
Stefano BenniOra però le sirene hanno un’arma ancor più terribile del canto, ed è il loro silenzio. È forse pensabile… che qualcuno possa salvarsi dal loro canto: sicuramente non dal loro ammutolire.
Franz KafkaAccatastata per il fuoco,
la fascina
comincia a germogliare.
Nozawa Bonchōm
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