Il presidente russo ama le arti marziali, cede spesso alla tentazione di esibire i suoi muscoli, crede che le Olimpiadi invernali, sontuosamente organizzate a Soči nel febbraio del 2014, possano dare lustro al suo Paese, è un devoto fedele della Chiesa ortodossa, un buon improvvisatore di lunghi discorsi e un compiaciuto ascoltatore di sé stesso. Ma non sembra essere la persona che trascorre il suo tempo immerso nella storia culturale dello Stato russo. Eppure nel dicembre del 2012, in occasione del tradizionale discorso presidenziale all’Assemblea federale del Parlamento nella sala di San Giorgio al Cremlino, Putin disse che le sorti di un Paese, nei suoi momenti più difficili, dipendevano in ultima analisi «dalla volontà della nazione, dalla sua energia interiore», da quella che Lev Gumilëv definiva «pasionarnost»: la capacità di andare avanti e accettare il cambiamento.
È molto probabile che la grande maggioranza del pubblico che riempiva la sala non avesse mai sentito parlare di Gumilëv e ignorasse l’esistenza della parola «pasionarnost». I cronisti dell’avvenimento si affrettarono a fare qualche ricerca e scoprirono che Gumilëv era un enigmatico studioso, per molto tempo ospite dei gulag sovietici e noto a una stretta cerchia di persone soprattutto come il figlio di due famosi poeti: Nikolaj Stepanovič Gumilëv e Anna Achmatova. Il padre, molto amato anche da Raisa Gorbačëva negli anni della perestrojka, era stato accusato di avere ordito un complotto contro Lenin e fu fucilato nel 1921. La madre era sopravvissuta al Terrore rosso, alle purghe degli anni Trenta, all’arresto del figlio, alle feroci campagne denigratorie di Andrej Ždanov, segretario del partito a Leningrado e zar della cultura sovietica in epoca staliniana. Fu Lev, quando Achmatova attendeva in coda di fronte al carcere di Leningrado per avere qualche avara notizia sulla sua sorte, la ragione di un poema, Requiem, che avrebbe commosso la Russia per molti anni. Una donna, nella coda, l’aveva riconosciuta e le aveva detto che soltanto lei, con i suoi versi, avrebbe potuto descrivere gli orrori di quei giorni.
Nei quattordici anni passati in prigionia (molti nel cantiere dove si stava costruendo il grande canale del mar Bianco), Gumilëv aveva assistito alla morte di innumerevoli compagni di lavoro, uccisi dalla fatica, e aveva coniato la parola citata da Putin nel suo discorso. Come osserva Charles Clover, autore di un libro sulle teorie euroasiatiche nella cultura russa, «pasionarnost» evoca la passione di Cristo sulla croce e quindi una virtù del popolo russo: la sua capacità di sopportare, soffrire, sacrificarsi.
La passione di Cristo sulla croce
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