Una notte in un tempo ormai remoto, l’uomo si svegliò e vide sé stesso. Egli vide che era nudo nel cosmo, senza dimora nel suo stesso corpo. Ogni cosa si aprì davanti ai suoi pensieri, meraviglia dopo meraviglia, terrore dopo terrore, tutto sbocciò nella sua mente. Poi si svegliò anche la donna e vide che era tempo di uscire e uccidere. E l’uomo raccolse il suo arco, frutto dell’unione tra spirito e mano, e andò fuori sotto le stelle. Ma quando gli animali vennero alla fonte, dove lui era solito attenderli, egli non sentiva più nel sangue il balzo della tigre, bensì un immenso cantico per la fratellanza di tutto ciò che vive e condivide la sofferenza. Quel giorno egli tornò a mani vuote, e quando lo ritrovarono al sorgere della luna nuova, egli giaceva morto presso la fonte.
Cos’era accaduto? Una rottura nell’unità della vita, un paradosso biologico, una mostruosità, un’assurdità, un’ipertrofia del genere più catastrofico. La natura ha puntato troppo in alto, superandosi. Una specie è stata armata troppo pesantemente – il suo genio l’ha resa non solo onnipotente verso il mondo esterno, ma ugualmente pericolosa per sé stessa. La sua arma era come una spada senz’elsa o guardia, una lama a doppio taglio in grado di fendere qualsiasi cosa; ma chiunque l’abbia usata ha dovuto afferrarla per la lama, volgendo una delle estremità contro sé stesso. A dispetto dei suoi occhi nuovi, l’umanità aveva ancora le radici nella materia di base; la sua anima era intrecciata alla materia e subordinata alle sue cieche leggi. Ma allo stesso tempo l’uomo poteva scrutare la natura come fosse un estraneo; comparare sé stesso con gli altri fenomeni; scoprire e catalogare i suoi stessi processi vitali. Egli è venuto alla natura come un ospite inatteso; ed ora invano protende le braccia e prega di venire unito a ciò che lo ha creato. La natura non risponde più: con l’uomo essa ha compiuto un miracolo, ma si è rifiutata di riconoscerlo. L’uomo ha perduto la propria cittadinanza nell’universo: ha mangiato dell’albero della conoscenza ed è stato bandito dal paradiso. Egli è potente nel suo mondo, ma maledice il suo potere, perché l’ha acquistato a prezzo dell’armonia spirituale, dell’innocenza, del conforto che provava nell’abbraccio della vita. Egli se ne sta lì con le sue visioni, tradito dall’universo, tra lo smarrimento e l’angoscia. Anche gli animali conoscono l’angoscia, sotto il rombo del tuono o l’artiglio del leone. Ma l’uomo, invece, sente angoscia per la vita stessa, per il suo stesso essere. Per gli animali la vita consiste nel sentire il gioco delle forze, l’alternarsi di gioco e fame, e, alla fine, nell’inchinarsi alla necessità. In un animale la sofferenza è limitata a sé stesso; per gli uomini essa si edifica in sé ma si riversa fuori sottoforma di angoscia per il mondo e per la vita.
Essere e tempo di Martin Heidegger
Heidegger esplora la condizione umana come essere nel mondo, enfatizzando la tensione tra consapevolezza e angoscia. La sua analisi del concetto di angoscia esistenziale rende questo libro particolarmente rilevante per comprendere il distacco dell’uomo dalla natura e la ricerca di senso nella vita.
Il disagio della civiltà di Sigmund Freud
Freud affronta la complessa relazione tra progresso umano e sofferenza interiore. Esamina come la civiltà, pur aumentando il controllo dell’uomo sull’ambiente, abbia creato forme di angoscia e disagio, evidenziando le tensioni tra istinti naturali e consapevolezza morale.
L’uomo in rivolta di Albert Camus
Camus esplora il significato della ribellione umana di fronte all’assurdità e al distacco esistenziale. Nel libro, si riflette su come l’uomo, consapevole di sé, affronti il dolore di essere estraneo alla natura, lottando per trovare un equilibrio tra ribellione e accettazione.
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