La rinuncia stessa all'azione diventa la protesta
Fare. Fare qualcosa, fare del bene, fare la pipì, far passare il tempo, l’azione in tutte le sue combinazioni. Ma dietro ad ogni azione si nascondeva la protesta, perché fare significava uscire da per arrivare a, o muovere qualcosa perché stesse qua e non là, o entrare in quella casa invece di non entrarci o entrare in quella accanto, ovvero in ogni atto era insita l’ammissione di una carenza, di qualcosa non ancora fatto e che era possibile fare, la protesta tacita di fronte alla continua evidenza della mancanza, della diminuzione, della pochezza del presente. Credere che l’azione potesse colmare, o che la somma delle azioni potesse realmente equivalere a una vita degna di questo nome, era un’illusione da moralista. Era meglio rinunciare, perché la rinuncia all’azione era la protesta medesima e non la sua maschera. Oliveira accese un’altra sigaretta, e quell’azione minima lo obbligò a sorridere fra sé ironicamente e a prendersi in giro seduta stante. Poco gli importavano le analisi superficiali, quasi sempre viziate da distrazione e trabocchetti filologici. L’unica certezza era il peso alla bocca dello stomaco, il sospetto fisico che qualcosa non andasse per il suo verso, che quasi mai fosse andato.

Crediti
 Julio Cortázar
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