— È la stupidaggine, o piuttosto la degenerescenza dell’istinto che si scopre in fondo a tutte le stupidaggini, la quale fa che vi sia una questione operaia. Vi sono certe cose sulle quali non si pongono delle questioni: primo imperativo dell’istinto. — lo non vedo assolutamente cosa si vuol fare dell’operaio europeo dopo averne fatto una questione. Egli si trova in molto buona posizione per non «questionare» sempre più, e con sempre maggiore strafottenza. In fin de’ conti, egli ha il gran numero dalla sua. Bisogna completamente rinunziare alla speranza di veder svilupparsi una specie d’uomo modesto e frugale, una classe che risponderebbe al tipo del Cinese: e questo sarebbe stato ragionevole, ed avrebbe risposto semplicemente ad una necessità. Che si è fatto? — Tutto per annientare nel suo germe la condizione stessa di un simile stato di cose, — con una imperdonabile leggerezza si è distrutto nei loro germi gli istinti che rendono i lavoratori possibili come classe, che farebbero ammettere a loro stessi quella possibilità. Si è reso l’operaio atto al servizio militare, gli si è dato il diritto di coalizione, il diritto di voto politico: quale sorpresa se la sua esistenza gli appare fin da ora come una calamità (per parlare la lingua della morale, come una ingiustizia?). — Ma che si vuole? io domando ancora. Se si vuol raggiungere uno scopo, si devono volere anche i mezzi: se si vogliono degli schiavi, è pazzesco accordar loro ciò che ne fa dei padroni.
La questione operaia
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