Il filosofo come noi lo intendiamo, noi spiriti liberi -, come l’uomo dalla più varia responsabilità, che ha coscienza per il completo sviluppo dell’umanità: questo filosofo si servirà delle religioni per la sua opera di educazione e di disciplina culturale, allo stesso modo con cui si servirà delle condizioni politiche ed economiche del suo tempo. L’influenza selettiva, formatrice cioè, tanto distruttiva quanto creativa e formativa, che può venire esercitata con l’aiuto delle religioni, è molteplice e diversa a seconda del tipo di uomini che vengono posti sotto il loro potere e la loro protezione.
Per i forti, gli indipendenti, pronti e predestinati al comando, nei quali prendono corpo la ragione e l’arte di una razza dominatrice la religione è un mezzo in più per superare gli ostacoli, per poter regnare: come una catena che unisce dominatori e sudditi e svela e consegna ai primi la coscienza degli ultimi, quanto vi è in loro di più segreto e più intimo che sfuggirebbe volentieri all’obbedienza; e se alcuni di questi individui di così nobile origine fossero propensi, per la loro alta spiritualità, a una vita più ritirata e contemplativa e si riservassero il carattere più raffinato del dominio (quello esercitato sui discepoli o i confratelli prescelti), allora la religione stessa potrebbe venire impiegata come mezzo per procurarsi la pace tra il rumore e la fatica imposti dalla grossolanità del governare, nonché la purezza di fronte ai necessario sudiciume di ogni politica attiva.
Lo compresero per esempio i bramini: con l’aiuto di un’organizzazione religiosa essi si attribuirono il potere di nominare i re del loro popolo, mentre essi stessi si sentivano e si tenevano in disparte e al di fuori, in quanto uomini con compiti più alti e superiori a quelli di un re.
Nel frattempo la religione serve da guida anche a una parte dei dominati e offre loro l’occasione di prepararsi al futuro governo e al comando, a quelle classi cioè e a quei ceti che stanno lentamente salendo e nei quali, grazie a felici costumi matrimoniali, la forza e il piacere della volontà, la volontà di autodominio, va crescendo in continuazione – per loro la religione costituisce uno stimolo e una tentazione sufficienti per percorrere il cammino – di una superiore spiritualità, per mettere alla prova i sentimenti del grande autosuperamento, del silenzio e della solitudine – ascetismo e puritanesimo sono strumenti di educazione e nobilitazione quasi indispensabili, per una razza che vuoi vincere la sua origine plebea ed elevarsi al futuro dominio.
Agli uomini comuni, infine, alla maggior parte, che esistono per servire e per l’utilità generale e soltanto per questo possono esistere, la religione offre l’inestimabile capacità di accettazione della loro situazione e del loro modo di essere, la molteplice pace dell’anima, una nobilitazione dell’obbedienza, una maggiore comunanza di felicità e dolore con i loro simili e una specie di trasfigurazione e di abbellimento, qualcosa come la giustificazione dell’intera quotidianità, dell’intera bassezza, di tutta la povertà semi-bestiale della loro anima.
La religione e il valore religioso della vita gettano una luce solare su questi uomini tormentati e rendono loro sopportabile persino la propria vista; essa esercita, come la filosofia epicurea lo esercita di solito sui sofferenti di rango superiore, un influsso ristoratore, che affina, che si serve per così dire della sofferenza santificandola infine e giustificandola. Forse non c’è (nel cristianesimo e nel buddismo) nulla di più degno di stima della loro abilità di insegnare ai più umili a collocarsi, con la devozione, in un apparente ordine superiore delle cose, e a conservare così la loro accettazione dell’ordine reale, nel quale esse conducono una vita dura – e proprio questa durezza è necessaria! –
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