Per anni sono stato infelice, consapevolmente e intenzionalmente, lo sono sempre stato da quando ho terminato la scuola e sono entrato al Trinity College di Dublino, tanto che mi sono isolato sempre più, ho assunto sempre meno iniziative e mi sono abbandonato a un crescendo di denigrazione degli altri e di me stesso. Ma in tutto questo non c’era nulla di morboso a parer mio. L’infelicità, la solitudine, l’apatia e lo scherno erano elementi di un indice di superiorità e garantivano un senso di arrogante alterità che appariva giusta e naturale, e non più morbosa dei modi in cui era non tanto espressa, quanto implicita, riservata e a disposizione di una possibile manifestazione futura. Solo quando quel modo di vivere, o piuttosto quella negazione del vivere, si è sviluppato con sintomi fisici così terrificanti da non poter più essere perseguito, mi sono accorto di un che di morboso in me stesso. In breve, se il cuore non avesse introdotto in me la paura della morte sarei ancora qui a sbronzarmi con un ghigno in faccia e a ciondolare in giro con la sensazione di essere troppo in gamba per qualsiasi altra cosa.
I giorni migliori sono stati quelli a passeggio con i cani. Uno è stato particolarmente bello, da qui oltre le montagne Three Rock e Two Rock e ritorno, passando da Glencullen e le miniere di piombo. C’era un tale silenzio che dalla cima di Two Rock ho sentito una fisarmonica solitaria suonare giù, vicino al fiume Glencullen, a miglia di distanza. Ho pensato a un mattino di Natale di non tanto tempo fa, assieme a mio padre dietro lo Scalp ad ascoltare un canto che veniva dalla Glencullen Chapel. Poi l’aria bianca da vedere fino a chissà dove, che dà i contorni senza puntinatura. Poi un tramonto rosa e verde che non trovo mai in nessun altro posto e quando è venuto buio un piccolo pub per riposarmi e bere gin.
Lettere
Traduzione di Massimo Bocchiola, Leonardo Marcello Pignataro
Pinterest • Mareo Cirehirillo •
Ancora nessun commento