La salute dello spirito e del corpo
Per meglio renderci conto quanto la nostra felicità dipenda da una disposizione all’allegria, e questa dallo stato di salute, non abbiamo che a confrontare l’impressione che producono su noi le stesse circostanze esterne o gli stessi avvenimenti, nei giorni di salute e di forza con quella che è prodotta, quando uno stato di malattia ci dispone ad esser di cattivo umore ed inquieti. Non è già ciò che sono oggettivamente ed in realtà le cose, ma ciò che esse sono per noi, nella nostra percezione, che ci rende felici o infelici. È quanto esprime assai bene questa sentenza d’Epitteto: Ciò che commuove gli uomini non son le cose, ma l’opinione sulle cose. In tesi generale i nove decimi della nostra felicità riposano esclusivamente sulla salute. Con essa tutto diventa sorgente di piacere; senza di essa invece noi non sapremmo gustare un bene esterno di qual si sia natura; pur anche gli altri beni soggettivi, come le qualità dell’intelligenza, del cuore, del carattere, sono diminuite e guastate dallo stato di malattia. Così non è senza ragione che noi prendiamo notizia scambievolmente sullo stato della nostra salute e che ci desideriamo reciprocamente di star bene, perché proprio in ciò v’ha quanto è più essenzialmente importante per la felicità umana. Ne segue adunque che è insigne pazzia sacrificare la propria salute a checchessia, ricchezza, carriera, studi, gloria e sopra tutto alla voluttà, ed ai piaceri fuggitivi. Al contrario tutto deve cedere il passo alla salute.

Per quanto grande sia l’influenza della salute su questa gaiezza così essenziale alla nostra felicità, non di meno questa non dipende unicamente dalla prima, perché con una salute perfetta si può avere un temperamento melanconico ed una disposizione predominante alla tristezza. Ne risiede certamente la causa nella costituzione originaria, quindi immutabile, dell’organismo e più specialmente nel rapporto più o meno normale della sensibilità con l’irritabilità e con la riproduttività. Una preponderanza anormale della sensibilità produrrà l’ineguaglianza d’umore, una gaiezza periodicamente esagerata ed un predominio della melanconia. Siccome il genio è determinato da un eccesso della forza nervosa, vale a dire della sensibilità, Aristotele ha osservato con ragione che tutti gli uomini illustri ed eminenti sono melanconici: Tutti gli uomini che sono nati o alla filosofia, o alla politica, o alla poesia o alle arti si mostrano melanconici Prob. 30, 1. Cicerone ebbe senza dubbio in vista questo passaggio nella relazione tanto citata: Aristotele disse tutti gli uomini d’ingegno esser melanconici Tusc. I, 33. Shakespeare ha dipinto molto piacevolmente questa grande diversità del temperamento generale; La natura si diverte qualche volta a formare esseri curiosi. V’ha chi si dà a fare continuamente gli occhietti piccoli e che si mette a ridere come un pappagallo davanti un semplice suonator di cornamusa, e v’ha chi tiene una tale fisonomia d’aceto che non scoprirebbe i suoi denti, pur per sorridere, quand’anche il grave Nestore giurasse ch’ei ha udito or ora uno scherzo dei più ameni. Il Mercante di Venezia, scena I.

È questa stessa diversità che Platone disegna colle parole δυσκολος d’umore difficile, ed ευκολος d’umore facile. Essa può esser ridotta alla suscettibilità, molto diversa nei diversi individui, per le impressioni piacevoli o disaggradevoli, in conseguenza della quale Tizio ride ancora di ciò che mette Cajo in disperazione. E di più la suscettibilità per le impressioni piacevoli è d’ordinario tanto più piccola quanto quella per le impressioni disaggradevoli è più forte, e viceversa. A probabilità eguali di buono o cattivo esito in un affare, il δυσκολος si stizzerà o si affliggerà dell’insuccesso, e non si rallegrerà per la riuscita; l’ευκολος invece non sarà né stizzito né afflitto per il cattivo esito, e sarà contento per il buon successo. Se, nove volte su dieci, il δυσκολος riesce ne’ suoi progetti, ei non si rallegrerà per le nove volte riuscite a bene, ma sarà triste per il cattivo esito della decima; nel caso inverso l’ευκολος sarà consolato e contento per l’unico successo felice. Però non è facile trovare un male che non abbia alcun compenso; così succede che i δυσκολος, cioè i caratteri cupi ed inquieti, avranno, è vero, a sopportare alla fin fine più disgrazie e dolori immaginari che non i caratteri allegri e spensierati, ma in cambio incontreranno meno sventure effettive, perché chi vede tutto nero, chi teme sempre il peggio e prende le sue misure in conseguenza, non avrà delusioni così frequenti come colui che dà colore e prospettiva ridente ad ogni cosa. Nondimeno quando un’affezione morbosa del sistema nervoso o dell’apparecchio digestivo viene a dar forza ad una δυσκολια innata, allora questa può giungere a quell’alto grado in cui un malessere permanente produce il disgusto della vita, d’onde proviene l’inclinazione al suicidio. Il quale può allora esser provocato dalle più piccole contrarietà; ad un grado molto elevato del male non havvi nemmeno bisogno di motivo, per risolvervisi basta la sola permanenza del malessere. Il suicidio si compie allora con sì fredda riflessione e con sì inflessibile risoluzione che a questo stadio il malato, posto d’ordinario sotto custodia, profitta, lo spirito costantemente fisso su questa idea, del primo momento in cui la sorveglianza sia rilassata per ricorrere senza esitazione, senza lotta e senza paura, a questo mezzo di sollievo per lui così naturale in questo momento, e così ben venuto. Esquirol ha descritto molto a lungo tale stato nel suo Trattato delle malattie mentali. È certo che l’uomo il più sano, e fors’anco il più gaio, potrà, capitando il caso, determinarsi al suicidio; ciò succederà quando l’intensità dei dolori o d’una sventura prossima ed inevitabile sarà più forte dei terrori della morte. Non v’è differenza che nella potenza più o meno grande del motivo determinante, potenza che è in rapporto inverso colla δυσκολια. Quanto più questa è grande, tanto più il motivo potrà esser piccolo; al contrario più l’ευκολια, come pure la salute che ne è la base, è grande, più grave dovrà essere motivo. Vi saranno dunque gradi innumerevoli tra questi due casi estremi di suicidio, tra quello cioè provocato puramente da una recrudescenza morbosa della δυσκολια innata, e quello dell’uomo sano ed allegro, proveniente da cause affatto oggettive.


Crediti
 Arthur Schopenhauer
 Aforismi sulla saggezza nella vita
  Traduzione Oscar D. Chilesotti
  La salute dello spirito e del corpo
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