Tutti sono capaci di parlare in modo oscuro e noioso: la chiarezza e la semplicità invece sono scomode. Non solo perché richiedono più sforzo e più talento, ma perché quando si è costretti a essere chiari non si può barare.
Non puoi nasconderti dietro perifrasi ridondanti, dietro parole vuote, dietro circonvoluzioni verbali che servono soltanto a confondere l’ascoltatore, devi andare dritto al punto. Parlare in modo complicato invece, utilizzare parole difficili sta a segnalare che si fa parte dei privilegiati, si viene invitati ai convegni, si viene coperti di onori. Ma bisogna chiedersi se tutti quei discorsi hanno un contenuto, se non si riesce a dire la stessa cosa con parole semplici. E quasi sempre ci si riesce.
La divulgazione deve fare i conti con questi due problemi, che richiedono competenza e immaginazione: cioè da un lato comprendere nel modo giusto le cose: dall’altro essere non solo chiari ma anche non-noiosi, anzi, non aver paura di esser divertenti. Ho sempre diffidato istintivamente dei parolai. Amo la semplicità e la chiarezza per un motivo: la conoscenza è una ricchezza, e la ricchezza va condivisa.
La semplicità del linguaggio
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