La civiltà occidentale si presenta oggi come civiltà della tecnica, ossia come organizzazione dell’applicazione della scienza moderna all’industria. È da questa organizzazione che i popoli privilegiati – ossia quelli che l’hanno costruita – ricevono tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere (e forse in futuro questo potrà accadere per tutti i popoli del pianeta); ma è ancora questa organizzazione ad avere predisposto le condizioni dell’annientamento della razza umana in seguito a una catastrofe nucleare. La situazione mondiale contemporanea è cioè incomprensibile se non si fa riferimento all’incidenza e all’incombenza su di essa da parte della tecnica; e la tecnica è a sua volta incomprensibile se non viene pensata in relazione alla scienza moderna. Ma è la filosofia, e precisamente la filosofia nella sua forma classica, cioè greca, ad aver aperto lo spazio all’interno del quale è stato possibile costruire ciò che chiamiamo “scienza moderna”. Tutti i parti sono dolorosi. A volte la partoriente muore dando alla luce la propria creatura. La nascita della scienza moderna viene comunemente interpretata come un distacco traumatico, una separazione violenta della scienza dalla filosofia. Ed è certamente difficile contestarlo. Ma il difetto di questa interpretazione è di non aver occhi che per i dolori del parto e per la morte della partoriente, facendo così perdere di vista che, innanzitutto, ciò con cui si ha a che fare è un parto, dove la partoriente, anche se soffre e muore, consegna la propria essenza al nuovo essere per il quale essa muore, ma nel quale tuttavia essa sopravvive.
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