È l’ora inospitale e ingrata in cui non ci sono più desideri. Chiusi e neri i locali del divertimento e del vizio, assopiti nella carnale stanchezza gli amanti, spenti i lumi, benché la luce del giorno non basti ancora.
Anche le auto dei più disperati nottambuli sono rientrate. Non una finestra accesa. Tutti chiusi nel tepore del letto. Solo furgoni delle immondizie che rotolano di quando in quando. Una luce che non è luce, è grigio, è sonno, è lucernario, è indifferenza assoluta.
Guai a chi in una città si lascia sorprendere da questa ora senza pietà, quando piove a cateratte e lui è solo.
Gli pareva di essere un bambino castigato e battuto ingiustamente, di cui nessuno sa nulla. In quel momento dormivano tutti, i fratelli, la mamma, gli amici, quelli che di lui avevano bisogno e di cui egli aveva bisogno. Non esistevano più. Erano incastrati nel sonno dell’alba, così profondo e benefico quando piove. Era solo. Si sentiva solo, ignorato e smarrito col suo affanno infernale di cui la gente avrebbe riso così volentieri. E intorno, sotto la pioggia, ancora immobile, la grande città che fra poco si sveglierà cominciando ad ansimare a lottare a contorcersi a galoppare su e giù paurosamente, per fare, disfare, vendere, guadagnare, impossessarsi, dominare, per una infinità di voglie e accanimenti misteriosi, di cose meschine e grandi, lavoro, sacrifici e afflizioni infiniti, e impeti, e volontà che rompono, muscoli e scatti mentali, possessione e dominio, avanti, avanti! e lui inchiodato là, in un’auto utilitaria grondante d’acqua e di disperazione per un piccolo corpo bianco e giovanetto, con dentro un barlume d’anima, forse, che ha nome Laide e che nessuno conosce. Sipari di case grigie bagnate ed ermetiche, come di vite che non gli importavano niente. Il mondo? L’America e la Russia? La signoria della terra?
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