Verso la fine di aprile, quando il caldo diminuì, le cime dei vulcani si coronarono di nubi e la natura iniziò a ritirarsi per l’autunno, gli indizi di cui parlarono le fotografie mi parvero sufficiente e mi accinsi all’odiosa incombenza di sorvegliare Diego, come una qualsiasi donna gelosa.
Quando finalmente riconobbi l’artiglio che comprimeva la gola e riuscii a dargli il Nome che ha nel vocabolario, mi sentii sprofondare in una palude. Gelosia.
Chi non l’ha provata non può sapere quanto male faccia nell’immaginare quali pazzie si possono correre in suo nome. Nei miei trent’anni di vita ne ho patito solo quella volta, ma la scottatura è stata talmente profonda che le cicatrici non si sono rimarginate e spero che non si rimargino mai e che mi servano da memento per il futuro…
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